Autore: 
Erika Delvento

    È da un po' di tempo che lavoro anche a scuola come Oepa. Che cos'è un Oepa? È l'aiuto dell'insegnante di sostegno, mi insegna il piccolo Mattia. O meglio, questa è una delle visioni che più sento vicina. Di fatto è un sostegno esclusivo al bambino, alle sue autonomie e alla sua abilità di comunicazione, non alla classe (anche se leggo di alcune realtà che si stanno muovendo in questa direzione). Se il bambino non c'è, io non ci sono. Questo è chiaro a me, ai compagni di classe, non so se anche all'assente. Per alcuni sono la maestra Erika, per altri Erika semplicemente, per altri ancora ‘maè’, per pochi l'Oepa. L’acronimo significa Operatore Educativo Per l’Autonomia e la comunicazione. Alcuni aggiungono alla sigla anche la “c”, Oepac, altri comprendono meglio se si fa riferimento al vecchio Aec, per intenderci. La figura è una, i nomi per indicarla molteplici e cambiano non solo nel tempo, ma anche da città in città e di regione in regione. Al di fuori del Lazio si potrà sentir parlare di AES, Assistente Educativo Scolastico, per esempio. La realtà nazionale è disomogenea.

    Tutti i bambini ai quali mi dedico hanno una certificazione di disabilità secondo la legge 104 del 1992 (la stessa che apre la strada a questa figura). Difficoltà emotive, cognitive, fisiche, comportamentali, relazionali. Non tutte insieme, non sempre. A seconda della situazione il bambino può avere delle ore di sostegno e delle ore di assistenza dell'Oepa che possono variare negli anni ad integrazione delle insegnanti curriculari. Il lavoro dovrebbe essere quanto più coordinato e integrato. Tutti, insieme ai genitori e ai professionisti significativi che seguono l’alunno e la famiglia e che possono aiutare a creare uno sguardo quanto più ampio, aperto e complesso, si incontrano e partecipano alla definizione del PEI, cioè il piano educativo individualizzato. Quest'ultimo pone un accento funzionale sulle abilità e competenze del bambino ponendosi degli obiettivi, che sono rivisti e rinnovati periodicamente, specificando le attività e gli strumenti con i quali ci si attende vengano raggiunti e le modalità di verifica.

    Ho lavorato alle superiori, alle medie, alla scuola dell'infanzia e alla primaria. I bambini con diagnosi e certificazione attraversano i vari ordini e gradi. Ma è dalla terza e quarta elementare che ho visto esprimersi più chiaramente quel processo di costruzione della propria identità che rende sì alcuni più curiosi delle questioni sessuali, ma anche più sensibili a quello che Michela, in prima media, esprime gridando 'non ho mica bisogno dell'accompagno io!'. E forse dell'accompagno in senso stretto non ha davvero bisogno, sebbene semini angoscia intorno a sé con i suoi comportamenti dirompenti. Forse ha più bisogno di compagnia, di qualcuno che stia con lei tollerando quell'angoscia che conosce così bene ed è capace di far provare agli altri. È così che cominciamo a giocare, a stare anzitutto in una relazione divertendoci, negoziando regole e provando affetto reciproco, tanto da farle affermare di non essersi mai affezionata a una come me prima. Così, ho imparato che l'invisibilità che circonda gli Oepa (non teniamo lezioni, non mettiamo note, non diamo voti, non possiamo pranzare in mensa, durante i lockdown spesso non siamo stati chiamati a lavorare sparendo all'improvviso per qualche giorno) e che alcuni colleghi soffrono non è tanto un deficit, quanto forse un valore aggiunto. Quanto è difficile, ma utile, sostenere senza essere ingombranti, offrendo come un dito sul quale i bambini o i ragazzi possono fare leva e affidamento per fare salti o passi che appaiono spaventosi avendo la sensazione di fare da soli? Come restituire loro competenze? Come valorizzare le compensazioni che ciascuno mette in scena per far fronte alle difficoltà che incontra?

    È così che scelgo di non sedermi nella seggiolina di fianco a Luca affidatami dall'insegnante il primo giorno. È così che scelgo di passeggiare tra i banchi durante le lezioni e i compiti svolti in classe, soffermandomi da qualche compagno prima di arrivare a lui che, così, mi apre la porta, si lascia aiutare. Ma non tutte le porte sono così facili da aprire. O forse non sempre detengo le chiavi giuste, di certo non ho passepartout. E anche di più: forse servono più chiavi per la stessa persona, un mazzo, una non basta. O almeno, così è per me e mi sembra che altrettanto sia per Felipe.

    Arrivato in Italia da qualche anno, mi insegna la difficoltà di stare a contatto con il vuoto, con il tempo dell’inattività: di cosa è pieno quello spazio dentro di lui? Cosa affiora? Quanto è difficile mantenere l'attenzione e stare fermo! Mi insegna la dura lotta di un bambino che immagino vissuto in una sorta di giungla, dove cavarsela da solo era la legge quotidiana e soprattutto che mi permette di comprendere quanto il refettorio della mensa scolastica, bambini da una parte, insegnanti dall’altra, possa essere terribilmente simile a quello dell’orfanotrofio - così lo chiama- dal quale viene. La relazione con lui è come una danza, fatta a volte di piccoli passi, a volta di passi indietro e poi in avanti, a volte di momenti di stasi alla ricerca di un ritmo interno. Comunque mai scontata, a volte confusa. Bisogna prestare grande attenzione a non pestare i piedi, a non entrare bruscamente nello spazio personale, anche se succede. Eccome se succede! All'inizio niente era toccabile, non il banco, l'astuccio, il diario, lo zaino, il quaderno. Poco il dicibile. Come aiutarmi ad aiutarlo? Come entrare in contatto? È così che provo cominciando ad accogliere le sue ritualità, le cornicette ripetitive che disegna nei momenti morti su un quadernino. È così che inizio anche io, simultaneamente a lui, a fare lo stesso su un mio foglio, provando a sintonizzarmi e portando simbolicamente il peso di quell'emotività che mi sembra abbia bisogno di quelle cornicette-argine per non straripare troppo in azioni che spaventano anche gli adulti vicini che temono possa mettere sé e gli altri in pericolo. Da quello passiamo piano, molto piano a linee che mutano, che assumono forme sempre più morbide e significanti. È così che cominciano ad affiorare rappresentazioni di figure umane, animali e oggetti inanimati via via più riconoscibili. Porto spesso materiali nuovi che possano incuriosirlo e fargli scoprire quanti più tecniche e modalità per rappresentare: fioccano collage, cartoncini colorati, pastelli cerati, polverine e così via. Mi siedo accanto e aspetto che sia lui a venire. Lentamente emergono anche i colori. In questo modo arricchiamo i quaderni delle varie materie e allo stesso tempo arricchiamo il repertorio di esperienze di vicinanza che viviamo in quelle progettazioni e realizzazioni innestando un circuito virtuoso, riconosciuto anche dalle insegnanti curriculari che valorizzano le produzioni, i miglioramenti e l'impegno con complimenti e bei voti. È così lui il primo a chiedermi di fare insieme, fino a raggiungere una propria autonomia e a sentirsi competente a tal punto da proporsi di aiutare un compagno nel colorare meglio un lavoro. 'Io non mi arrendo', dice provando e riprovando ad allacciarsi le stringhe delle scarpe. La prendo come una dichiarazione d’intenti, ma anche come una richiesta.

    E no, non mi arrendo. Per tutti coloro che ho incontrato, che incontrerò o forse no, che alcuni chiamerebbero persone con BES, Bisogni Educativi Speciali, ma che a me – se proprio devo trovare una sigla- piace più pensare con BAS, Bisogni Affettivi Speciali, come tanti tra noi. Per tutte quelle insegnanti che sanno valorizzare il lavoro di squadra, riconoscere i punti di forza di ciascuno a favore del lavoro comune, non solo degli alunni, ma anche dei colleghi, dei genitori e degli assistenti. Per tutti quei genitori che vorrebbero fare lo stesso dentro e fuori le proprie mura domestiche. Per tutti quei gesti nei quali alcuni avrebbero visto delega, mentre io ho visto fiducia. Per tutti coloro che come me, quotidianamente, condividono quest’avventura che talvolta appare matassa, per poterne trarre nuovi fili e trame o semplicemente per stare.

Erika Delvento, psicologa, psicoterapeuta

Data di pubblicazione: 
Venerdì, Ottobre 15, 2021

Condividi questo articolo