Autore: 
Avv. Heidi Barbara Heilegger
Proprio in questi giorni la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell'art. 27, terzo comma, della legge n. 184/1983 che era stata sollevata dalla Corte di Cassazione (1).
Si tratta di una pronuncia fortemente attesa da chiunque, a vario titolo, si occupa di adozione. Vediamo quindi quale fosse il quesito sottoposto alla Consulta, come sia stato risolto e soprattutto che cosa cambierà in futuro per le adozioni.
Innanzitutto il dubbio di costituzionalità era legato al fatto che l'art. 27 stabilisce che con l'adozione si interrompe ogni rapporto del minore con la famiglia di origine. L'ipotesi che ha generato il dubbio di costituzionalità era che questa interruzione aprioristica dei rapporti fosse in contrasto con il principio secondo cui ogni atto che riguarda un minore deve conformarsi al preminente interesse dello stesso, e in particolare con gli articoli 2, 3, 30 e 117 primo comma della Costituzione, oltre che con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Occorre premettere come la previsione contenuta nell'art. 27 sia frutto di una visione dell'adozione come “seconda nascita” che non è più attuale, ma che rispecchia il clima culturale in cui nacque la nostra legge sull'adozione.
Il legislatore del 1983 aveva infatti pensato affidamento familiare e adozione come due strumenti di tutela dell'infanzia alternativi e potremmo dire addirittura antitetici: là dove nell'affidamento coabitano in via temporanea due famiglie, quella affidataria e quella di origine, nell'adozione la famiglia adottiva si sostituisce definitivamente a quella di origine.
Con il tempo, tuttavia, ci si è resi conto di come questa impostazione rigidamente binaria non fosse sempre adeguata per rispondere ai bisogni di una realtà ben più articolata e complessa di come il nostro legislatore l'aveva immaginata.
Si pensi, per fare un esempio, al noto fenomeno degli affidamenti sine die, cioè a quegli affidamenti che si protraggono a tempo indeterminato perché, nei fatti, l'obiettivo del reingresso del minore in famiglia non può essere realizzato, ma, allo stesso tempo, la parziale valenza positiva del legame con il genitore biologico esclude lo stato di abbandono che è il presupposto della dichiarazione di adottabilità.
 
Anche la legge sulla continuità degli affetti, licenziata nel 2015 (2), rappresenta un'ulteriore conferma di come la dicotomia tra le due misure sia retaggio di una visione ormai anacronistica.
Sebbene adozione e affidamento restino istituti diversi e con finalità non sovrapponibili, è dunque emerso come esistano delle zone “grigie” in cui le differenze si fanno più sfumate.
D'altra parte già l'istituto dell'adozione in casi particolari di cui all'art. 44 della legge n. 184/83 insegna come, se pure nei casi tassativi ivi indicati, l'adozione, per il bene del minore, possa realizzarsi anche al di fuori dei presupposti richiesti per l'adozione legittimante (cioè quella che comunemente le coppie intendono per adozione).
 
Proprio muovendo da questa premessa, in Italia, già diversi anni fa, alcuni Giudici (3) avevano sperimentato l'adozione mite che pur non essendo espressamente normata, non è neppure vietata dal nostro ordinamento. Così, in molte situazioni di “semiabbandono permanente” del minore, invece, che per un affidamento sine die, si optò per un'adozione ex art. 44, ritenuta più tutelante sotto il profilo giuridico.
Si è trattato di un primo, embrionale tentativo di andare oltre l'alternativa tra affidamento e adozione legittimante.
 
Per completezza è opportuno evidenziare come l’adozione in casi particolari ex art. 44 sia stata introdotta dalla legge n. 184/1983 per tutelare il diritto del minore alla famiglia in situazioni che non avrebbero altrimenti consentito di giungere ad un’adozione legittimante, ma nella quali, tuttavia, l’adozione rappresenta una soluzione auspicabile.  L'adozione ex art. 44 può dunque applicarsi anche a minori che non si trovano in stato di abbandono. Non contempla, però, l'interruzione dei rapporti di parentela del minore con la famiglia di origine ed infatti il minore non perde neppure il cognome originario, ma assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprio. Un'ulteriore differenza con l'adozione legittimante (o piena) è legata alla possibilità di revoca se pure nei casi limitati espressamente previsti dalla legge.
Senza volerci addentrare in una dettagliata disamina dei due istituti – adozione legittimante ed ex art. 44 – è sufficiente tenere presente che non sono sovrapponibili.
 
Ma vi è di più.
Se volgiamo lo sguardo oltre i confini nazionali, ci accorgiamo come in Europa ci venga richiesto da tempo di ripensare l'istituto dell'adozione, valorizzando, là dove possibile, soluzioni che garantiscano la continuità identitaria del minore e che quindi non escludano, sempre e a priori, la conservazione di un legame con la famiglia di origine (o con uno o più membri della suddetta, ad esempio un nonno).
In particolare, una delle preoccupazioni più frequentemente espresse dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo verte sulla necessità di preservare, per quanto possibile, il legame del minore con il genitore biologico: l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) secondo il quale “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”, potrebbe infatti ritenersi violato là dove si disponga l'adozione del minore con conseguente rescissione del legame con la famiglia di origine, nonostante siano ipotizzabili altre soluzioni che, invece, consentono di conservare quel legame.
 
La nostra giurisprudenza si è gradualmente mostrata sempre più recettiva rispetto all'esigenza di ripensare l'originaria concezione di adozione, anche alla luce del monito europeo, accogliendo negli ultimi anni l'ipotesi dell'adozione aperta.
Benché l'espressione in sé possa forviare, quando nel nostro ordinamento si parla di adozione aperta non si intende una forma di adozione sovrapponibile alla open adoption conosciuta negli Stati Uniti ove, in alcuni Stati, le adozioni tramite intermediari privati non sono vietate e può  accadere che i genitori biologici diano delle indicazioni o addirittura scelgano essi stessi la famiglia adottiva per il figlio o la figlia, concordando anche le future modalità di incontro. Piuttosto significa che, quando ciò riflette un interesse del minore, da verificare sempre in relazione al caso concreto, sarà possibile mantenere in vita il legame affettivo con la famiglia di origine (ma potrebbe trattarsi anche di un genitore solo o di un parente).
 
Del resto, anche prima che in Italia si iniziasse a parlare di adozione aperta, accadeva di sovente che ai genitori adottivi fosse imposto di garantire il legame affettivo del proprio figlio (o figlia) con i fratelli biologici, anche se adottati da altre famiglie o collocati in ambito comunitario. Ora ci si è aperti alla possibilità di mantenere un canale comunicativo aperto anche con i genitori biologici (oppure con un determinato parente).
 
Da un punto di vista giuridico l'aspetto interessante e centrale è che la giurisprudenza si è resa conto che per attribuire una veste giuridica e quindi legittimare questa forma di adozione  non è necessario né opportuno ricorrere all'art. 44, ma è sufficiente interpretare l'interruzione dei rapporti del minore con la famiglia di origine di cui all'art. 27 della legge sull'adozione come interruzione sul piano giuridico e non necessariamente di fatto: in questo modo si consente l'adozione legittimante, che rispetto all'adozione ex art. 44 è più tutelante per il minore, ma anche, potenzialmente, il mantenimento di un canale comunicativo aperto con la famiglia di origine. 
 
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 183/2023, ha mostrato di ritenere corretta, e quindi avallato, proprio questa lettura della norma.
 
Ha infatti ritenuto infondata l'ipotesi di illegittimità costituzionale dell'articolo 27 della legge 184/1983 sostenendo come nel passaggio che prevede l'interruzione dei rapporti con la famiglia di origine, il termine “rapporti” vada interpretato nel senso di legami giuridici di parentela – che vanno sempre e necessariamente interrotti - mentre le relazioni di natura socio-affettiva possono essere preservate se ciò corrisponde, nel concreto, all'interesse del minore.
 
La sentenza della Corte Costituzionale in quest'ottica non appare affatto innovativa, ma confermativa di un orientamento giurisprudenziale che, come anzidetto, si era già affermato. Allo stesso tempo, nell'accreditare questo orientamento, veicola un messaggio importante e cioè che la società, e di riflesso il diritto, è pronta a concepire e accogliere forme di tutela dell'infanzia che  non escludono una continuità tra il prima e il dopo l'adozione.
 
Si tratta di una scelta equilibrata e di compromesso tra chi chiedeva che la legge 184/83 non fosse alterata, e si opponeva quindi alla modifica dell’articolo 27, e chi, invece, sottolineava la necessità di assicurare la possibilità di mantenere in vita il legame dell'adottato con la famiglia di origine.
 
L'adozione aperta non si appresta dunque a divenire regola generalizzata come molti avevano temuto, ma una possibilità in un panorama, che per tutelare per davvero i minori, deve poter disporre di strumenti flessibili, che sanno adattarsi alle peculiarità del caso concreto.
 
Ne consegue, ad esempio, come nell'ipotesi di genitori violenti o abusanti, in cui preservare il legame non potrebbe in alcun modo rappresentare una risorsa per il minore, ma anzi gli arrecherebbe pregiudizio, l'adozione aperta verrà esclusa, mentre nel caso di un genitore inadeguato sul piano educativo e le cui competenze non siano in alcun modo recuperabili, ma che abbia un vincolo affettivo con il figlio o la figlia, si potrà pensare ad un'ipotesi di adozione in cui questa relazione sia comunque valorizzata e trovi un suo spazio.
 
Insomma, nessun automatismo, ma attenzione ai bisogni del minore, valutando caso per caso se preservare la relazione con la famiglia di origine arrechi danno o se all'opposto possa essere funzionale a garantirne lo sviluppo della personalità.
 
Sul piano teorico la sentenza della Corte Costituzionale fissa quindi un principio importante.
Permangono tuttavia e innegabilmente molte ombre e difficoltà sul piano pratico.
Le famiglie di aspiranti genitori adottivi, infatti, si sentono spesso disorientate quando non spaventate alla prospettiva di dover gestire gli incontri dei figli con i genitori biologici (o con uno o più membri della famiglia di origine).
E' dunque fondamentale che siano formati e accompagnati sia all'inizio del percorso adottivo, perché possano comprendere cos'è e cosa comporta l'adozione aperta, sia quando, eventualmente, un'adozione aperta verrà effettivamente disposta. Se loro per primi saranno confusi e preoccupati non potranno rappresentare una risorsa per i figli né aiutarli a vivere al meglio il contatto con la famiglia di origine che, in qualsiasi modo verrà a declinarsi, potrà comunque comportare delle fatiche sul piano emotivo.
Adozione aperta – è appena il caso di sottolinearlo -  non significa in ogni caso frequentazione libera della famiglia di origine da parte del minore, ma mantenimento di un canale comunicativo entro una cornice chiara e definita sia quanto a tempistiche che a modalità di incontro.
 
In questo quadro, oltre all'aspetto della necessaria, direi indispensabile preparazione delle famiglie, si inserisce anche il tema della formazione dei Servizi Sociali. Questi ultimi, infatti, dovranno essere messi nelle condizioni di poter gestire questo cambiamento, sia, come anzidetto, per ciò che concerne  la formazione delle coppie di aspiranti genitori adottivi, sia nel supportare le famiglie di origine a comprendere il nuovo assetto che assumerà la relazione.
 
La recente sentenza della Consulta più che un punto di arrivo rappresenta un punto di partenza: perché, tuttavia, il seme che è stato piantato metta radici e germogli occorrerà senz'altro investire molto tempo e risorse.
 
Note:
  1. Con la sentenza n. 183 del 29.09.2023
  2. Legge n. 173/2015 che ha introdotto una sorta di “corsia preferenziale” per l'adozione da parte della famiglia affidataria qualora il minore sia dichiarato adottabile
  3. Il riferimento è in primis alla pronuncia del Tribunale per i Minorenni di Bari, 07.05.2008, Presidente e Relatore Occhiogrosso.

 

 


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Data di pubblicazione: 
Venerdì, Ottobre 27, 2023

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