Autore: 
Anna Guerrieri

  Da sempre, quando si parla di adozioni internazionali, si parla anche di una forte esigenza di chiarezza. La trasparenza delle prassi è infatti essenziale e doverosa per i bambini e le bambine coinvolti, per le famiglie adottive e di origine e per gli operatori stessi che si occupano di adozione. 
E' bene ricordare che la legge vigente fu figlia di una storia ben precisa, anzi di tante "storie" che interrogavano sull'opacità delle prassi e su quanto accadeva nelle adozioni del tempo in Sud e Centro America, in Russia e in Romania. Quella legge ha cambiato molte cose e molte ne ha dipanate se si pensa che un tempo si iniziava spesso il proprio viaggio adottivo districandosi da soli e a fatica in un ginepraio di contatti con referenti all'estero, avvocati e religiosi. I rischi erano ampi, talvolta si incappava in vere frodi e veramente poche erano le garanzie a tutela dei bambini. Dal 2000 tanto è cambiato, ma la "chiarezza", quella piena è arrivata? Parzialmente, la risposta non può che essere parzialmente. 

Nel 2005 iniziava così il primo di una serie di articoli sulle adozioni in Ucraina di Marida Lombardo Pijola: Sebbene sia un magistrato, o forse proprio a causa di questo, il giudice Madzianovskij si fida più della vita che della giustizia, soprattutto da quando ha arrestato l'Uomo Nero che vendeva bambini agli italiani, e poi qualcuno, con metodi trasversali, lo ha fatto sparire prima che lui lo interrogasse. Pazienza: zhizn pokazhet, la vita dimostrerà, dice il giudice Madzianovskij, perché la vita ha un suo percorso, e qui la giustizia ne ha più d'uno, e ha più mani, e più teste, oltre alla sua.

Nel 2008 su GSDInforma apparve un'intervista su una storia che riguardava l'Etiopia (http://www.genitorisidiventa.org/visualizza.php?type=articolo&id=151): "Tu vai". Così gli hanno detto in famiglia. "Tu vai. Quando hai 18 anni torni e aiuti la famiglia. In America (per loro chi viene per i bambini viene dall'America) le famiglie non hanno bambini e prendono anche quelli degli altri. Tu vai, studi e torni." Vai e torna. L'hanno detto a tutti i bambini. È una frase che altre famiglie hanno sentito raccontare dai loro bambini, bambini arrivati come mio figlio. "A 18 anni torno?" Eravamo ancora ad Addis Abeba. Così mi ha detto. "Mamma, lì poveri, nulla da mangiare, hanno detto: Meglio che tu vai."

Nel 2011, sempre sul nostro mensile, apparve una storia vietnamita (http://www.genitorisidiventa.org/visualizza.php?type=articolo&id=173). Riguardava quanto fatto emergere da Peter Bille Larsen nel 2008 quando iniziò una campagna d'informazione per denunciare alle autorità competenti e all'opinione pubblica quello che era accaduto ad alcune famiglie Ruc, una minoranza etnica che abitava nella provincia vietnamita di Quang Bình, una zona montuosa al confine con il Laos. Iniziava così: Immaginate, per un momento, di essere stati colpiti dalla povertà causata dalla crisi finanziaria in corso o dal mancato raccolto e accettiate un'offerta fatta da funzionari locali affinché vostro figlio sia accudito temporaneamente in un centro di assistenza per bambini fino a quando la vostra situazione economica non sarà migliorata. Ora immaginate di andare a trovare i vostri figli, solo per essere informati che sono stati inviati all'estero per adozione internazionale e il funzionario del centro vi spiega che la vostra casa era troppo lontana per avvisarvi e tanto meno per chiedere la vostra opinione.

Ucraina, Vietnam, Etiopia erano soltanto alcuni paesi, c'erano anche e non solo Nepal e Guatemala. C'era tanto, troppo. Un troppo su cui, da genitori adottivi, vedevamo le Istituzioni agire (tanti sono stati gli Enti chiusi nel tempo) ma su cui talvolta si aveva la sensazione si potesse fare anche di più, magari con difficoltà, ma di più.

  Oggi leggiamo sulle adozioni nella RDC, Repubblica Democratica del Congo. Leggiamo e abbiamo letto tanto in questi anni, e tanto altro abbiamo ascoltato dalle parole di chi era andato ad adottare e dai racconti dei bambini. Tante adozioni, contesti differenti, eppure di nuovo come in Etiopia segni di una fragilità del sistema (età presunte, nomi a volte cambiati, luoghi di origine a volte cambiati, a volte bambini che fratelli non erano). Poi nel Settembre 2013 iniziò il blocco e la crisi grande che ha coinvolto sia le famiglie che erano andate a prendere i figli e si sono trovate intrappolate dal blocco, sia chi, abbinato a bambini che ormai avevano sentenze RDC, non aveva fatto in tempo a partire. Per i primi si è trattato di mesi di angosciosa attesa, per i secondi di anni. E' stato un tunnel che ha coinvolto centinaia di famiglie in tutto il mondo (e che, ad esempio in Francia, non sembra nemmeno finito). Destini appesi alle decisioni politiche della RDC e alle terribili dinamiche della politica internazionale e di quella nazionale. Per fortuna, per le famiglie italiane, tanto penare si è finalmente concluso a Giugno. Restano gli "instradati", coloro che non potendo più cambiare direzione (magari perché hanno già pagato molto al proprio ente) attendono un abbinamento in RDC. Immaginiamo il loro cuore quando avranno letto quanto apparso sull'Espresso in questo periodo. 

Dunque, la chiarezza è necessaria, e lo è non da domani, bensì da ieri. Una chiarezza che immaginiamo frutto di un lavoro chiaro, trasparente, istituzionale, fatto con ferrea calma. Un lavoro che esprima valutazioni e precise conseguenze ma soprattutto costruisca, attraverso il confronto, la collaborazione e la capacità di fare rete, la possibilità realistica e vera di dare a tanti bambini in paesi troppo fragili una famiglia salda alla fine di un percorso adottivo inequivocabile. Troppo spesso abbiamo visto prassi poco chiare trasformarsi via via, di crisi in crisi (non dimenticheremo mai quanto successo in Kirghizistan), in un incubo. E' venuto il momento di sapersi fermare, quando necessario, per stabilire come le adozioni italiane debbano procedere in alcuni paesi. Lo dobbiamo ai bambini e alle bambine in attesa.

Data di pubblicazione: 
Sabato, Ottobre 1, 2016

Condividi questo articolo