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Daria Vettori e Massimo Maini, con il contributo di alcuni operatori che collaborano con Genitori si Diventa

Il laboratorio per i genitori, proposto nel contesto dell’Assemblea Nazionale di Genitori si diventa a Monticelli Terme (PR) lo scorso aprile, si è ispirato al lavoro dell’artista e documentarista francese Julien Malland aka Seth “Dans me tète” (Dentro la mia testa) che ha avuto una bellissima idea per creare le sue opere d’arte: viaggia per il mondo chiedendo alle persone, donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini, di rappresentare che cosa abbiano nelle loro teste.

Quando la Presidente di Genitori si Diventa ci ha chiesto di partecipare all’Assemblea Nazionale per proporre ai genitori un’esperienza che potesse offrire un’occasione per riflettere sul processo che dall’io genera il noi, abbiamo raccolto con entusiasmo questa proposta, cogliendone immediatamente la potenzialità.

Dall’io al noi racconta, infatti, il processo stesso del divenire famiglia, ma è anche il senso più profondo dell’essere Associazione.

Come spesso accade a noi due, abituati a lavorare con gli adolescenti e quindi a stare in ciò che accade momento per momento, abbiamo iniziato a immaginare subito cosa avremmo potuto proporre, non avendo idea di come avremmo poi concretizzato le nostre idee, gestito il tempo e i partecipanti. Un viaggio che aveva come meta prima di tutto l’incontro.

La scelta è stata quella di provare a offrire ai genitori un’attività che poteva permettere di far emergere oltre che i pensieri e le idee, anche le emozioni, i sentimenti, gli aspetti più creativi che guidano, sempre, le nostre vite. Le fasi di preparazione sono state, come sempre accade, un misto di intenzioni, fantasie, timori e scoperte, arrivando a concretizzare la possibilità di proporre anche agli adulti un laboratorio di creazione artistica dal titolo: “Nella mia testa”. Un’attività che abbiamo fatto tante volte con bambini e ragazzi, ispirata al lavoro creativo di un artista di strada francese.

Insieme a Chiara, presidente di GSD, e ad alcuni volenterosi e pazienti consiglieri, ci “connettevamo” la sera, stanchi, dopo le nostre lunghe giornate di lavoro, nel tentativo di integrare l’ideale con il reale…cosa non facile visto che il numero degli iscritti aumentava di giorno in giorno!

Come sempre arriva però il momento in cui bisogna partire, anche se forse non è tutto a posto, sistemato, definito.

Nel pomeriggio dedicato all’attività, dopo aver consegnato a ognuno dei partecipanti una sagoma disegnata su cartoncino, raffigurante una testa umana, abbiamo chiesto di rappresentare attraverso un collage di immagini ritagliate da riviste messe a disposizione, parole, brevi frasi, disegni, cosa ci fosse nella loro testa pensando alla storia adottiva e alla loro appartenenza all’associazione.
Se la consegna era molto semplice, allo stesso modo è stato necessario ribadire che l’esperienza avrebbe avuto senso e pregnanza solo se tutti i partecipanti avessero provato a “svuotare” la loro testa, a lasciarsi andare ad un fluire libero e diretto che nasceva dalla “pancia”, senza farsi troppe domande, nella consapevolezza che non vi era una immagine, una frase, una parola giusta o sbagliata, bella o brutta. Quello che era importante era “solamente” lasciarsi andare e ascoltarsi.

La numerosa presenza dei partecipanti ha portato i conduttori a scegliere di dividere in gruppi i genitori così da poter offrire loro anche l’importante occasione, una volta terminata la loro opera d’arte, di tradurre in racconto il loro capolavoro.

Grazie alla preziosa collaborazione degli operatori di GSD presenti all’assemblea, abbiamo potuto inserire in ogni gruppo uno di loro come facilitatore con il compito di cogliere gli aspetti salienti dei racconti in modo da poterli poi condividere con noi alla fine del lavoro in vista di una restituzione finale, programmata per il giorno seguente.

Se questo è stato l’esito delle riflessioni preliminari, quello che è avvenuto in realtà racconta la storia di un viaggio dall’UNO al NOI, colorata di emozioni che ancora a distanza di tempo ha lasciato nei partecipanti il sapore di un “cibo” buono e del desiderio e della speranza di poterlo di nuovo assaporare. Un’esperienza di condivisione che i genitori sembravano non veder l’ora di fare.

Inizialmente i genitori hanno accolto in silenzio, forse anche un po’ preoccupati e imbarazzati, la consegna, sentendola come qualcosa di molto lontano dal loro modo di guardarsi dentro e riflettere. Molto presto, però, tutti si sono lasciati andare, si sono affidati, accogliendo l’imprevisto e abbandonando le certezze, permettendosi anche di “strappare senza le forbici”.

La ricchezza dell’esperienza fatta è stata forse proprio nell’aver acceso un faro sui genitori, sugli adulti da guardare, per una volta, solo come persone. I riflettori sono sempre sui figli, stanno bene o stanno male, vanno bene o vanno male. Questa volta il movimento a cui sono stati chiamati era interno, un tuffo dentro di sé, nelle profondità di ognuno, nella propria testa, ma anche nel proprio corpo. Non era facile sospendere il giudizio, spogliarsi dei ruoli e guardarsi dentro e ognuno è riuscito a farlo a modo suo.

Tanti mondi si sono disvelati, mondi fatti di paure, gioie, strade e possibilità.

Questo andare verso se stessi per poi accettare di provare a incontrarsi con l’altro, ha permesso a molti dei partecipanti di tornare più ricchi all’appuntamento con i propri figli, di sperimentarsi più liberi e consapevoli. Per molti è stato un riappropriarsi delle proprie speranze, paure e gioie, sospendendo, per un momento, quelle aspettative che spesso obbligano a un costante esserci, aiutare e sostenere. Questa volta l’incontro con se stessi ha sgomberato il campo da tutto ciò. Le teste sono divenute anche un guardarsi allo specchio. La mia testa, ma anche quella degli altri che racconta comunque una parte di me.

Un’unicità e originalità che scopro in me creando e che si manifesta e si rinnova nella relazione con l’altro, facendomi sentire in qualche modo visto e speciale. Cosa ogni giorno sperimentata nella relazione con i propri figli.

Si riparte da sé, si ritorna a sé per poter essere poi liberi di rivedere l’altro nei suoi bisogni, paure e desideri.

Il farsi racconto è stato il momento vissuto da tutti i partecipanti come occasione per ridare vita alle parole che forse erano già state dette, ma che in quel momento hanno ri-preso valore o hanno trovato un nuovo senso. Farsi racconto ha rappresentato il desiderio, ma ancora di più il bisogno di raccontare, di continuare a raccontare consapevoli, tutti, che se smettessimo di raccontare le nostre vite, queste cesserebbero di esistere. Inoltre l’esperienza artistica ha permesso, così come è stato ribadito più volte, di rispondere all’emergenza di “buttare” fuori le emozioni come se si sentisse il bisogno di dare parola al magma interiore che può rendersi consapevole solo se esce e incontra l’Altro.

Sfogliando le riviste era come se fossero le immagini a chiamarci, a riuscire a dire le cose come volevamo che venissero dette.

Unito al bisogno di dare senso, è stato molto forte anche il sentimento della leggerezza, del farsi trasportare non solo dalla razionalità, ma anche dall’emozione dell’incontro dell’Altro che “si fa parola” solo in quel momento. Parole che parlano di diversità, di appartenenza, del bisogno di riconoscersi, di essere visti, di essere ancora voluti. Si diviene parola e racconto, però, se e solo se ci concediamo il tempo di so-stare in ascolto di quello che avviene dentro e “tra” di Noi. Noi che siamo così fragili e insieme forti, così umani.

Il farsi racconto ha permesso una coralità nella quale ognuno di noi è riuscito a ritrovare un pezzettino di sé, ma anche di scoprire che quella parte non gli appartiene del tutto, proprio perché siamo immersi in una polifonia fatta di volti, voci, gesti che compongono la storia all’interno della quale ci sentiamo al sicuro e a cui sentiamo di appartenere. Una musica che nasce dalla sintonizzazione e dall’ascolto. Nel raccontarsi prima all’interno dei gruppi, poi il giorno successivo, tutti insieme nella restituzione finale, abbiamo potuto condividere come “dall’Uno al Noi” fosse il racconto dell’adozione, ma anche dell’essere associazione.

Il collage di teste, unite tutte insieme in un’opera d’arte unica e bellissima, ci ha dato la possibilità di ri-trovarci, di ri-connetterci, dopo un tempo difficile come quello della pandemia. Ancora una volta è emerso, potente e unico, il corpo che desidera e sente il bisogno di avvicinarsi ad altri corpi per innescare quel senso di appartenenza e storia che non può essere vissuto nel mondo virtuale. Un senso di appartenenza che fa sentire i nostri figli e anche noi visti e non più soli…anche in quel “meraviglioso casino” (come ha detto un genitore facendo un collage) che è l’adozione.  


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Data di pubblicazione: 
Giovedì, Giugno 29, 2023

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