Autore: 
Valentina Tollardo, psicoterapeuta, vicepresidente Associazione Alice ETS
La prevenzione alla violenza di genere non può prescindere da un pensiero formativo sulla comunità educante.
Sono gli adulti, del resto, a fare cultura: a promuovere modi e modelli di comportamento, ad alimentare stereotipi, a stillare la goccia buona che concorre a generare il fiume e a sanare il mare (o ad inquinarlo).
La violenza è un pensiero non pensato e questo mi porta a dire che occorra prendersi un tempo per far depositare l’emotività e affrontare il tema riattivando il pensiero e declinandolo su di noi.
 
L’età dell’assassino di una donna non è un elemento realmente utile per spiegarne la dinamica, non aggiunge nulla di fondamentale a ciò che già conosciamo del fenomeno. La giovane età ci permette di comprendere, semmai, come e quanto la violenza di genere sia un problema sistemico e radicato, che riguarda tutti e che è responsabilità di ognuno prendere in carico. La violenza di genere è, dunque, responsabilità di tutti.
 
Nella percezione soggettiva di numeri e statistiche, è sufficiente soffermarsi su un dato percentuale oggettivamente allarmante: nel nostro Paese, il 98,3% dei femminicidi viene compiuto da uomini in ambito familiare/affettivo, dove la violenza consegue all’idea, maturata e accreditata, che la donna sia gerarchicamente inferiore ad un uomo. Ed è qui, dunque, che si insinua il femminicidio: nell’impossibilità cioè di trovare la strada di una reale (effettiva, emotiva ed interiorizzata) parità di genere.
 
Il pensiero formativo serve allora per garantire la costruzione di una reale competenza emotiva, che trova la base in una “sufficientemente” buona relazionalità all’interno della famiglia.
Parlare di violenza di genere vuol dire perciò mettere a fuoco anche l’educazione al consenso. Vuol dire che la violenza di genere non è solo colpa della famiglia e dei genitori, ma è responsabilità di ognuno di noi.
 
Come adulti, dunque, che cosa possiamo fare?
Scelgo di non parlarvi direttamente di strategie educative, ma di problematizzare e di farvi riflettere sui passaggi che le precedono. Senza un pensiero solido, senza consapevolezza, ogni intervento rischia di non generare effetti. È nell’essere relazionale, del resto, che si gioca la grande partita.
 
1. Qual è la nostra posizione sulla parità di genere e sullo stereotipo di genere? Cosa penso, quali sono le mie ragioni a suffragio del sentire? Il primo lavoro è su di noi e sui nostri concetti e preconcetti, su come viviamo il ruolo di genere, su come abbiamo costruito la parità all’interno del nostro microcosmo relazionale. Quali sono i valori di base su cui ci muoviamo per lavorare sulla parità rispetto alla nostra coppia, al lavoro e nella vita. Ci tocca fare i conti prima di tutto con noi stessi, con il modo in cui scegliamo di applicare questo concetto nella nostra vita: educativamente, la coerenza è tutto.
 
2. Che pensieri abbiamo fatto sulla costruzione della coppia genitoriale, sulle scelte educative, sul peso di ognuno all’interno della coppia? Il compito educativo è imprescindibilmente dei genitori, di entrambi; l’assenza di uno dei due non toglie la responsabilità perché è nell’assenza di costruzione relazionale del senso educativo che si gioca poi l’esempio. L’educazione non è responsabilità della madre, ma dei genitori e degli adulti significativi.
 
3. Che pensieri ho rispetto all’educazione sessuale? Ancor prima, che educazione affettiva e sessuale ho ricevuto? Come l’ho ricostruita? Nella maggior parte dei casi nelle generazioni precedenti non c’è stata o è stata per lo più una ricerca personale e una condivisione tra pari; difficilmente il tema “sessualità” è stato trattato. Che rapporto ho con la sessualità, dunque? Quali sono le mie credenze rispetto ad una sessualità corretta?
 
4. Se vi dicessi che l’educazione sessuale inizia alla nascita e non si conclude che effetto vi fa? L’educazione sessuale rientra per l’OMS nelle life skills perché migliora la qualità della vita e contribuisce a costruire una società più equa (e rispettosa). Educare alla sessualità non è promuovere la promiscuità o chissà quali teorie fantomatiche o, addirittura, aumentare i rischi; al contrario, vuol dire CONSENSO, RISPETTO PER IL PROPRIO CORPO E DI QUELLO DELL’ALTRO, PROMOZIONE DELLA SALUTE SESSUALE E RIPRODUTTIVA. Vuol dire fornire gli strumenti per rinforzare l’autodeterminazione e la capacità di fare delle scelte che siano in tutela di noi.
 
5. Quanto sono sereno/a e tranquillo nell’idea di parlare di questi argomenti con mio figlio/a? Ho costruito un vocabolario?
 
6. Che relazione ho con le mie emozioni? Cosa mi accade quando sono arrabbiato? Lo porto nella relazione? Come? Sono capace di veicolare adeguatamente le emozioni, spiegando che cosa mi accade? Ho la capacità di tener dentro il punto di vista dell’altro? Competenza emotiva non vuol dire solo teoria ma è, soprattutto, possibilità di tramutare le conoscenze in un fare funzionale, per me e per l’altro; non basta riconoscere le emozioni, occorre saperle utilizzare nelle relazioni, veicolare correttamente il loro significato.
 
7. Da che principi sono guidate le relazioni all’interno della famiglia? Nella relazione di coppia e genitoriale esiste lo spazio della tenerezza, del gesto gentile fine a se stesso? Che clima emotivo si respira? Ho un tempo per la cura della mia relazione di coppia?
 
8. Come reagisco quando vedo delle ingiustizie? Come le problematizzo? Riesco a farmi portavoce del dissenso? Riesco a problematizzare i comportamenti discriminatori? Per i genitori dei figli più grandi, riesco a farne argomento, costruendo insieme un filo rosso su ciò che è accaduto? Con i più piccoli riesco a trovare delle parole semplici per parlarne?
 
9. Promuovo la separazione, l’autonomia e l’indipendenza? Che effetto ha su di me l’idea di separarmi da mio/a figlio/a? Che effetto mi fa sapere che sarò sempre meno utile?
 
10. Come me la cavo con la tenuta della regola e con il frustrare i bisogni? Come mi sento quando succede? Cedo, compenso, riesco a tenere la linea? Cosa provo? Le mie emozioni incidono?
 
Perché è importante partire da qui? Come genitori, come adulti siamo abituati a decentrarci per pensare l’altro e per muoverci in gesti pratici il più possibile coerenti. Credo tuttavia che sia necessario, nelle questioni educative, spostarci su di noi e problematizzare i nostri pensieri, incuriosirci, approfondire, studiare e condividerli.
 
Occorre un accordo e un filo comune che leghi tutte le figure impegnate nella crescita dei figli; occorre provare a costruire dei pensieri insieme e dei modi che siano coerenti tra loro: nonni, tate, parenti, insegnanti, nessuno escluso. Lo si può fare solo se diventa un argomento e un terreno su cui potersi confrontare. Mi direte probabilmente che la sto facendo facile e che invece è difficilissimo. Lo so, lo è anche per me.
Le cose importanti però sono complesse e a volte difficili. Ci arriviamo per prove ed errori, per battute d’arresto e risalite con pendenza a novanta gradi.
Ci si muove a partire da ogni bacio che un bambino ha diritto di non dare e da ogni volta in cui io chiedo il permesso per toccare il corpo dell’altro e accolgo la sua risposta. Si comincia da qui.
 
 
 

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Data di pubblicazione: 
Lunedì, Novembre 27, 2023

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