Autore: 
Heidi Barbara Heilegger, avvocata

E’ di questi giorni la notizia, a cui i media hanno dato enfatico risalto, di una recente pronuncia della Corte di Appello di Roma che, in ossequio alle indicazioni fornite dalla Cassazione, ha stabilito il diritto di due minori date in adozione a mantenere i rapporti con la madre biologica.

La pronuncia in esame è stata presentata come rivoluzionaria. In realtà, chiunque si occupi di diritto di famiglia e dei minori e segnatamente di adozioni, sa bene come questa notizia, pur se non priva di implicazioni importanti, così come è stata raccontata, risulti fuorviante. Non si tratta infatti del “primo caso concreto di adozione mite in Italia” come riportato su Ansa.it in data 08 giugno 2022, ma di una pronuncia che si inserisce nel solco di una faticosa ricerca, inaugurata alcuni anni or sono, volta ad individuare, tra tutte quelle astrattamente possibili, la soluzione che, con riferimento al singolo caso concreto, meglio risponda al best interest of the child (1).

La legge che disciplina nel nostro Paese l'adozione, ossia la legge 184/1983, anche ed anzi soprattutto a seguito delle riforme apportate dalla legge 149/2001, può essere considerata, almeno secondo il mio parere, una buona legge, ma resta comunque una legge datata, come tale incapace di rispondere a tutte le situazioni di criticità in cui i minori possono venire a trovarsi nel nucleo familiare di origine.

E’ del tutto logico, e oserei dire perfino doveroso, che in attesa di un intervento legislativo organico che riveda e, se necessario, incrementi gli strumenti giuridici di protezione dei minori, sia la giurisprudenza a provare a colmare le lacune del sistema, ricorrendo in alcuni casi a figure come appunto l'adozione mite o aperta (2), che se pure non sono normate né espressamente contemplate dall'ordinamento, parimenti non sono vietate.

E’ importante premettere che con l'espressione adozione mite si fa riferimento al mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine anche dopo l'adozione se ciò riflette l'interesse del minore. Questo è possibile interpretando l'interruzione dei rapporti del minore con la famiglia di origine che caratterizza l'adozione come mera interruzione di quelli giuridici e non necessariamente di fatto. Sarà in ogni caso il Tribunale, e non le famiglie in autonomia, a decidere la cornice, e quindi le modalità e le tempistiche, entro cui il legame potrà essere mantenuto, avvalendosi dei Servizi Sociali per l'attuazione del progetto.

In altre parole adozione aperta non significa affatto, almeno nel nostro Paese, che il minore abbia due famiglie distinte che possa frequentare liberamente, a sua discrezione, al di fuori di qualunque regola o parametro e senza un monitoraggio da parte dei Servizi Sociali.  Anche quando si sia accordata preferenza all'adozione mite in luogo di quella legittimante “classica”, non si dovranno infatti sottovalutare le implicazioni psicologiche ed emotive che un “canale comunicativo” aperto con la famiglia di origine, che delle fatiche in ogni caso ha, può comportare per un minore.

L'adozione mite rappresenta quindi un tentativo della giurisprudenza di superare la rigidità del modello proposto dalla legge sull'adozione unitamente al fatto che l'adozione in casi particolari contemplata dall'art. 44 della predetta legge ha un'applicazione residuale perché tecnicamente possibile solo nelle ipotesi espressamente contemplate dall'articolo stesso (3).

La legge sull'adozione si basa infatti su un sistema per così dire binario, che prevede: quando le difficoltà familiari sono gravi, ma temporanee e superabili con opportuni interventi di supporto al nucleo familiare, lo strumento dell’affidamento familiare; quando, invece, le predette difficoltà sono profondamente radicate e si traducono in uno stato di abbandono del minore valutato come non transitorio, il ricorso all'adozione legittimante.

Ebbene, esistono nella prassi molteplici situazioni di affidamento cosiddette sine die, cioè che nei fatti si protraggono a tempo indeterminato perché non si ritiene tutelante per il minore né il pieno reingresso in famiglia in ragione di parziali, ma irreversibili carenze dei genitori biologici (4) né la definitiva rescissione del legame affettivo con questi ultimi, a cui evidentemente si riconosce una residua valenza positiva. Queste situazioni dimostrano chiaramente come la netta dicotomia tra adozione legittimante e affidamento possa essere limitante.

E’ in questo quadro che trova spazio e senso l'adozione mite: quest'ultima, se da un lato non merita di essere demonizzata (in alcuni casi funziona ed è per davvero una risorsa), parimenti non deve essere celebrata come la panacea di tutti i mali, una sorta di risposta moderna e innovativa all’adozione legittimante sentita come ormai superata e persino intrisa di una sorta di egoismo. Tale infatti – in questa suggestiva, ma forviante rappresentazione – sarebbe la ragione che induce il sistema a interrompere brutalmente il legame biologico con la famiglia di origine quando, attraverso appunto l'adozione mite, potrebbe essere preservato.

In realtà, in molti, se non nella maggioranza dei casi, la soluzione più tutelante per il minore è ancora l'adozione legittimante. Al netto del fatto che i genitori biologici non devono – né possono – essere cancellati e anzi faranno sempre parte della storia del minore, mantenere vivo e attivo, rinnovandolo nel quotidiano, un legame tossico e disfunzionale, è quanto di più lontano possa esserci dal fare il bene del minore.

Non possiamo dimenticare che il panorama delle famiglie che presentano delle criticità è ampio ed eterogeneo. Se da un lato esistono situazioni difficili, ma in cui è possibile ravvisare e potenzialmente recuperare un'immagine positiva del genitore biologico (penso, ad esempio, alle patologie psichiatriche, alle dipendenze ed a tutte quelle situazioni di disagio ampiamente inteso che possono essere, se non risolte, almeno gestite e contenute), dall'altro esistono anche realtà fatte di ripetuti e indicibili abusi e violenze ove l'idea che questi possano perpetuarsi, anche solo nell'immaginario del minore, attraverso il mantenimento della frequentazione con il genitore di origine, urta contro il più elementare senso di umanità.

A mio parere a dover sollecitare l'attenzione non dovrebbe dunque essere tanto il ricorso in sé all'adozione mite, ma la scarsa conoscenza e preparazione in relazione alla stessa da parte sia degli aspiranti genitori adottivi sia dei Servizi Sociali e degli operatori del settore in genere. Benché, diversamente da quanto veicolato dai media, l’adozione mite sia infatti conosciuta anche in Italia, questa figura ha però sino ad oggi svolto un ruolo “di nicchia” e soprattutto manca una normativa di riferimento. Ci si affida dunque solo alla prassi e a un orientamento giurisprudenziale che si va per così dire costruendo solo negli ultimi anni e non è ancora univoco e consolidato.

L'ordinanza della Cassazione n. 35840 del 22.11.2021 ha messo ad esempio in evidenza come l'adozione legittimante che, oltre all'acquisto dello stato di figlio degli adottanti, determina la cessazione di ogni rapporto dell'adottato con la famiglia d'origine, coesista nel nostro ordinamento  con la diversa disciplina dell'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44 della legge n. 184 del 1983, che, invece, non comporta affatto l'esclusione dei rapporti tra l'adottato e la famiglia d'origine. Se ne può dedurre che il legislatore non abbia voluto escludere a priori soluzioni differenti dall'adozione legittimante. Partendo da questo assunto, la Suprema Corte arriva ad affermare che quando un giudice è chiamato a decidere sulla dichiarazione di adottabilità di un minore in stato di abbandono, dovrà prima accertare “l'interesse del medesimo a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, costituendo l'adozione legittimante una "extrema ratio", cui può pervenirsi nel solo caso in cui non si ravvisi tale interesse”

Secondo questo orientamento, se dunque al minore non può essere garantito il diritto di crescere nella propria famiglia di origine, si deve però verificare che questo diritto non possa declinarsi in modo differente, garantendo, pur all'interno della cornice adottiva, ritenuta più tutelante di un affidamento sine die, la possibilità di mantenere una relazione affettiva con tutti o eventualmente solo alcuni familiari, che appaiono comunque come delle figure significative per il minore.

In altre e più semplici parole, ciò che afferma la Cassazione, e in questo sta la novità dell'orientamento richiamato, è che ci sia in capo al giudice, prima di dare in adozione un minore, l'obbligo di considerare se quel minore non possa eventualmente mantenere i rapporti con la famiglia di origine, se pure nei limiti e con le caratteristiche che in questo articolo ho cercato di chiarire.

Certamente questa lettura amplia potenzialmente le ipotesi di impugnativa da parte dei genitori biologici (e dei parenti fino al quarto grado) allargando di riflesso anche la possibilità, ad oggi nei fatti limitata, che una situazione di rischio giuridico si concretizzi.

Potrebbe infatti accadere che pur non essendoci i presupposti per riconsiderare la scelta di dare il minore in adozione, con il suo conseguente reingresso nella famiglia di origine, vi siano invece quelli per decretare un'adozione aperta che era stata aprioristicamente esclusa in sede di dichiarazione di adottabilità.

In tutto ciò, è importante che non si smarrisca proprio il bene del minore, vero perno attorno a cui ruota il sistema delle adozioni. Non bisogna cioè trasformare la vicenda che ha ispirato questo articolo – ossia la decisione della Corte d'appello di Roma di consentire alla madre biologica, di rivedere le figlie date in adozione a due famiglie italiane (5) - in una vittoria dell'adozione mite su quella legittimante tradizionalmente intesa.

D'altra parte, a riprova di quanto una siffatta lettura sarebbe errata, al netto dell'opportunità o meno, nel merito, della decisione assunta dai giudici nel caso citato, si segnala come la Cassazione, in un'altra sentenza, la n. 3546 del 04.02.2022 abbia ritenuto impercorribile la strada dell’affidamento temporaneo a terzi, ma anche quella dell'adozione mite in ragione del clima di violenza che caratterizzava quel nucleo familiare e delle esigenze di stabilità affettiva del minore (confermando quindi l'adozione legittimante).

In conclusione, credo non si possa negare che sia sempre più sentita l'esigenza di sperimentare modelli di adozione diversi da quella legittimante, in tutte quelle situazioni in cui l’interruzione definitiva della relazione affettiva con i genitori biologici non coincida con il concreto interesse del minore. Affinché questo non si traduca semplicemente in un più massiccio ricorso all'adozione mite, senza una reale attenzione ai bisogni dei minori, dovrà realizzarsi una revisione in sede legislativa della legge sulle adozioni oltre che un serio investimento per garantire una adeguata formazione delle famiglie e degli operatori del settore. Altrimenti si rischia di cadere nel noto tranello di credere che situazioni complesse possano trovare soluzioni semplici.

 

  1. Questa tematica è stata in particolare già affrontata nell'articolo “L'adozione aperta: una nuova frontiera nel mondo adottivo” di Heidi B. Heilegger pubblicato in data 18.09.2018 per il magazine di Genitori di Diventa a cui si rinvia per un eventuale approfondimento.
  2. L'adozione mite è anche detta adozione aperta, in analogia con la open adoption statunitense che tuttavia è ben altro se si pensa che la madre biologica può dare indicazioni o addirittura scegliere i genitori adottivi. In questo articolo userò mite e aperta indifferentemente.
  3. Secondo l'art. 44 della legge n. 184/83 “i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7 (ossia quando non è stato dichiarato lo stato di adottabilità): a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”.
  4. Tra le ipotesi che possono portare ad un affido sine die vi è ad esempio quella del genitore con una importante patologia psichica, tale da impattare sulle competenze genitoriali, e che al contempo non abbia una rete familiare di supporto.
  5. La scelta di dare in adozione le minori a due differenti famiglie non rappresenta una anomalia come, anche in questo caso, è stato suggerito da parte della stampa. La scelta di dividere le fratrie in alcuni casi risponde infatti ad una precisa esigenza dei minori che, chiunque abbia dimestichezza con la realtà delle adozioni, anche internazionali, ben conosce. Non merita quindi di essere strumentalizzata per veicolare il messaggio che risponda agli “egoismi” degli adottanti.
Data di pubblicazione: 
Giovedì, Giugno 23, 2022

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