Autore: 
Francesca Ancidei, Psicologa, Psicoterapeuta Sistemico Relazionale, Terapeuta EMDR

”In una fredda giornata d'inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l'uno dall'altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell'altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. Finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.” 

A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, capitolo XXI 

Questo è il dilemma del porcospino di Schopenhauer.

Anche per gli esseri umani nella gestione delle relazioni esiste lo stesso dilemma, che diventa ancor più delicato quando si tratta di bambini. Molti di noi ricordano, durante l’infanzia, situazioni in cui incontrando estranei o parenti che non vedevamo da tempo siamo stati “invitati” ad abbracciare o baciare qualcuno che, se avessimo potuto scegliere, non avremmo neanche avvicinato. Quando da adulti possiamo scegliere, non è sempre scontato trovare la giusta distanza con gli altri. Ogni individuo ha la sua personale giusta distanza che cambia nelle diverse fasi del ciclo vitale, che si è costruita nel tempo e che è il risultato della sua storia. Il rispetto della giusta distanza di ciascuno rende possibile un’interazione adeguata e una relazione positiva. Da adolescenti la giusta distanza è in continua variazione, soprattutto in fasi delicate di passaggi vitali in cui la spinta in avanti lascia spesso spazio a momenti di regressione.

Nella famiglia adottiva

La situazione diviene ancor più delicata quando si tratta di bambini adottati che hanno vissuto nel loro passato il tradimento da parte delle figure che avrebbero dovuto occuparsi di loro. Un bambino adottato è prima di tutto un bambino che è stato abbandonato, tradito, che ha perso parte della propria storia e che quindi dovrà, per proseguire adeguatamente il proprio processo di crescita, riuscire a sanare le ferite che porta dentro di sé. Al loro vitale bisogno di cure, attenzioni e presenza amorosa da parte degli adulti è stato risposto con aggressività, violenza, incuria o ambivalenza che rompono il flusso relazionale e da queste prime esperienze  impareranno a valutare in modo distorto gesti d’amore e tentativi di avvicinamento. E’ così che molti bambini adottati reagiscono in modo inatteso e apparentemente abnorme ai gesti amorevoli dei genitori adottivi.

Alcuni bambini adottati vivono i primi anni in istituti dove la relazione con le figure di accudimento e con i pari viene distorta dalla stessa istituzionalizzazione.

Bowlby nel 1973 sosteneva:

Nel modello operativo del mondo che ciascuno si costruisce, una caratteristica fondamentale è il concetto di chi siano le figure di attaccamento, di dove le si possa trovare, e di come ci si può aspettare che reagiscano. Analogamente, nel modello operativo del Sé che ciascuno si costruisce, una caratteristica fondamentale è il concetto di quanto si sia accettabili o inaccettabili agli occhi delle figure di attaccamento. Sulla struttura di questi modelli complementari l’individuo basa le sue previsioni di quanto le sue figure di attaccamento potranno essere accessibili e responsive se egli si rivolgerà a loro per aiuto. E dalla struttura di quei modelli dipendono inoltre la sua fiducia che le sue figure di attaccamento siano in genere facilmente disponibili e la sua paura più o meno grande, che non lo siano: di quando in quando, spesso, oppure nella maggior parte dei casi.

Da queste parole è chiaro come i Modelli Operativi Interni che il bambino si costruisce siano caratterizzati dalla qualità dei primi rapporti e condizionino i comportamenti di attaccamento del piccolo.

La distanza "di sicurezza"

Le ferite di cui sono portatori la maggior parte dei bambini adottati sono sia relative alla relazione con l’altro che alla relazione con sé. La conseguenza più significativa del trauma relazionale precoce è la perdita della capacità di regolare l’intensità e la durata delle emozioni. Il trauma relazionale si innesca durante l‘infanzia e influenza la costruzione dell’identità, inclusa la sensazione di essere amabili: si diventa ciò che gli altri ci restituiscono.

Il trauma non elaborato crea nel bambino un accumulo di stress dovuto alla stratificazione di esperienze negative. In questa situazione anche una carezza, un gesto positivo possono riattivare sentimenti bloccati e accumulati nel tempo come colpa, vergogna, rabbia, senso di solitudine e tristezza.

Questi sono bambini che hanno bisogno di una distanza di sicurezza che è il risultato di un faticoso e continuo lavoro di taratura e compromesso fra il vitale bisogno di vicinanza fisica con il caregiver e il terrore di una eccessiva vicinanza.

Per bambini, con questi vissuti, fidarsi e affidarsi è impossibile. Sono individui in continua tensione e allerta il che li rende anche nervosi, reattivi e a volte irascibili.

Quando una carezza viene vissuta come un pericolo imminente la reazione viene percepita dall’altro come rifiuto. Immediatamente dopo lo stesso bambino cerca il genitore proponendo una vicinanza goffa e caotica, che da alcuni genitori viene descritta come quasi asfissiante e comunque difficile da gestire. Il genitore prova confusione, frustrazione e non riesce spesso a comprendere cosa stia accadendo con il risultato di una reciproca mortificazione e l’aumento della difficoltà di trovare la giusta distanza.

E’ difficile vivere fra due terrori opposti: essere troppo avvicinati ed essere rifiutati; essere invasi ed essere isolati. E’ impossibile non tornare all’esperienza traumatica di quando al richiamo per l’attenzione si riceveva una risposta negativa, punitiva o si veniva ignorati. Le emozioni sono presenti, ma generano caos, confusione e paura dal momento che il piccolo non è in grado di riconoscerle e gestirle, perché ha imparato a nasconderle e reprimerle.

Il bambino non ha ancora le strutture cognitive e linguistiche per poter spiegare (a sé e agli altri) che spesso di fronte ad un “no” rivive una esperienza di frustrazione e rifiuto alla quale è impossibile non reagire violentemente perché ciò che si attiva è un sistema primitivo di risposta alla paura e allo stress che già si è attivato nel suo passato; per poter spiegare che sarebbe bellissimo potersi arrendere all’amore lasciandosi andare, ma che il pericolo per loro sta proprio nelle sensazioni che quell’amore dei loro genitori provoca perché lasciarsi andare li esporrebbe di nuovo al rischio del rifiuto.

Quando iniziano la loro vita con la famigli adottiva si trovano in una condizione di difficile mediazione fra ciò che hanno (o non hanno) conosciuto e ciò che, nel presente, viene loro offerto, continuando a sperimentare la necessità di sopravvivere secondo gli schemi precedentemente appresi, arrivano a dissociarsi dal loro ambiente scollegando parti importanti di sé come meccanismo di sopravvivenza. Sembra una contraddizione, ma è proprio all’interno di tanta positività che nel bambino riecheggia quella percezione acquisita che i suoi bisogni emotivi sono irrilevanti e quella credenza di essere cattivo o difettoso.

Mettersi nei panni dei bambini

I genitori hanno spesso atteso tempi lunghissimi in cui hanno lavorato ed elaborato la loro posizione emotiva, arrivando all’incontro con il bambino carichi di amore e di voglia di famiglia che nell’immaginario collettivo è fatta anche di vicinanza fisica, intimità e calore che circolano fra i componenti del nucleo. Uno dei compiti più difficili per loro è mettersi nei panni dei loro bambini cercando di comprendere quanto queste aspettative siano difficili da soddisfare per chi ha imparato nel tempo a tenere a freno le emozioni, a non fidarsi troppo, a difendersi proprio da quella spinta alla vicinanza che per troppe volte è stata delusa senza che ci sia stata una reale comprensione di quanto successo. E’ difficile per un genitore leggere come movimento positivo anche le reazioni apparentemente di allontanamento dei loro bambini di fronte ai loro gesti di amore, perché è proprio attraverso un atteggiamento impaurito che segnalano quanto quei gesti arrivino (troppo) vicino a quella parte di loro che non desidera altro che lasciarsi andare.

Bisogna lasciare ai bambini il tempo per potersi affidare e comprendere anche che, una volta che questo accade, non è un dato di fatto duraturo, ma che può subire variazioni al cambiamento delle diverse fasi del ciclo vitale di questi bambini.

La costruzione di una nuova narrazione familiare capace di integrare tutte le parti, dove i genitori accolgono e accettano le reazioni dei bambini, accompagnandoli al riconoscimento che i loro comportamenti sono una ragionevole risposta alle cose negative capitate, porta alla costruzione di una nuova storia condivisa in cui il bambino può riuscire pian piano a costruire un’immagine diversa di sé e delle sue relazioni, spostandosi internamente da una posizione in cui aveva i piedi nel passato e la testa che guardava indietro, ad una posizione in cui ha un piede nel passato, uno nel presente e guarda verso il futuro.

Data di pubblicazione: 
Mercoledì, Novembre 21, 2018

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