Le famiglie adottive hanno bisogno di sostegno? E se riteniamo di si, quando ne hanno bisogno, per quanto tempo e in che modo?
Alla prima di queste domande non è difficile rispondere. Il sostegno serve perché essere famiglia adottiva ha alcune specificità di cui è necessario tenere conto.
Sono famiglie costituite per decisione giuridica e spesso ereditano, dal percorso pre-adottivo, una percezione durevole di essere “sotto la lente di ingrandimento”. L’attesa di incontrare i figli può essere molto lunga e configurarsi sia come uno tempo sospeso, desertico, sia come una dimensione costellata di criticità (paesi che sospendono le adozioni, abbinamenti rifiutati, ecc.).
Sono famiglie pubbliche, hanno subito a che fare con le esigenze sociali (ad esempio con l’ingresso a scuola) quando la costruzione delle appartenenze reciproche è appena iniziata.
Sono famiglie nate in assenza di una dimensione fisica e sessuale; nate da un incontro di biografie e impegnate nel lavoro di accoglienza delle storie dei figli.
Che non si possa e non si debba sottovalutare tutto questo è chiaro.
Alle altre domande, tuttavia, è più complesso rispondere e le risposte che si possono dare portano con sé implicazioni importanti. La letteratura che analizza le forme di post-adozione finora messe in atto mostra che si può andare da un modello di sostegno “leggero”, quando l’evenienza lo richiede (perché si tratta di famiglie come tutte le altre) ad un modello dove, invece, si ipotizza un sostegno pressoché costante (nell’ottica dell’adozione come differenza strutturale permanente), finendo per configurare un’idea di famiglia potenzialmente sempre bisognosa.
Si tratta dei punti estremi ed opposti di un arco di possibilità. E come estremi sono entrambi critici.
Se il primo può comportare la percezione di un’assenza di interventi e quindi di “solitudine”, il secondo può far pensare che la famiglia adottiva, da sola, non possa farcela.
Se l’inadeguatezza prenderà il sopravvento sulle capacità contenitive di una genitorialità sufficientemente amorevole, la coppia genitoriale rischia di farsi accompagnare nel proprio viaggio intimo di genitorialità con un passeggero di troppo: l’operatore esperto di adozione.
Ferritti, Il corpo estraneo, 2019
Non meno importante che interrogarsi sulla durata del sostegno è chiedersi chi si debba occupare di questo sostegno e come. Dal punto di vista giuridico la Legge n.184/1983, così come modificata dalla Legge n. 476/1998 e dalla Legge n. 149/2001, cita il post adozione negli art. 221 e 342. Chiama in causa i Servizi, nell’adozione internazionale anche gli Enti Autorizzati ed esplicitamente parla di un periodo di almeno un anno. Di più il post adozione non è realmente normato3, lasciando ampi spazi all’interpretazione e sovente a “vuoti”.
E’ da questi vuoti che possono nascere le associazioni familiari. L’associazionismo familiare scaturisce dai bisogni espressi dalle famiglie. Inizialmente può trattarsi di uno spontaneo ritrovarsi, cercando di comprendere insieme gli aspetti tecnici del percorso preadottivo, dopo l’adozione, tuttavia, si cerca soprattutto uno spazio dove non serva “spiegarsi” e dove potersi “appoggiare”.
L’associazionismo familiare… si sviluppa a partire dalla condivisione dei bisogni tra famiglie, mettendo al centro le risorse a volte inespresse delle famiglie stesse, come la capacità di promuovere e fortificare la rete relazionale attorno ai singoli componenti e contrastare l’isolamento e la fragilità dei legami sociali in un’ottica sussidiaria.
Convegno 10 anni del Coordinamento CARE, Roma, 2019
Insieme è la parola chiave dell’associazionismo. Mettere insieme è, sempre di più, fondamentale per chi si occupa di adozione. Guardare da più angolazioni un fenomeno, d’altra parte, ne fa percepire la tridimensionalità e permette di comprenderne meglio lo sviluppo nel tempo. Il mio punto di vista è proprio quello dell’associazionismo familiare (da cui provengo) e proverò a raccontare come le associazioni familiari possano praticare i gruppi di mutuo aiuto.
Le associazioni familiari stesse nascono come “gruppo” di famiglie e come gruppo vivono e agiscono nel tempo. Sono “gruppi” che attivano gruppi di sostegno, in genere gruppi dedicati alle coppie pre-adottive e ai genitori che hanno adottato, ma anche, in alcune associazioni, ai figli adottati.
In tutte le associazioni questi gruppi di sostegno sono solo una parte di un tutto, non esauriscono la “scena”. Per vedere l’immagine completa è necessario allontanare un poco lo sguardo da quel che viene fatto per capire da chi viene fatto.
Proviamo a pensare le associazioni come ad un ecosistema boschivo ampio ed esteso, alberi inter-connessi da radici sotterranee in connessioni sinaptiche. I gruppi di sostegno sono aree, “zone” in una foresta più vasta e variegata. Per comprendere serve attenzione ai dettagli e all’insieme, al tempo stesso.
Le associazioni affiancano sovente ai gruppi per i genitori momenti di intrattenimento (ludico/pedagogico) per i figli ma, soprattutto, organizzano cene, incontri, feste, assemblee in cui tutte le famiglie insieme (spesso allargate) si ritrovano, si raccontano, prendono decisioni. Quello che accade nei gruppi viene ripensato nelle cene, negli incontri, nelle feste e soprattutto nelle assemblee. Ciò che accade negli incontri, nelle feste, nelle assemblee viene ripensato nei gruppi.
In un’Assemblea della nostra associazione le famiglie sono protagoniste, i figli sono protagonisti. Loro dominano lo spettacolo, rubano la scena e sono al centro. Loro sono l’Assemblea, con le necessità, con le attività e con l’attenzione. Stanno assieme e si raccontano le proprie storie. Sono assieme e stanno bene .... ma non solo. A volte si ritraggono, si eccitano, provano ansia. C’è chi chiede insistentemente quando è “la prossima volta” e c’è chi desidera non venire più. Nascono gruppi whatsapp, contatti facebook, grandi amicizie, amori ... C’è chi sente che è tutto “tanto troppo”.
Da un gruppo dopo un’Assemblea di GSD
E’ così che le associazioni mettono in pratica il principio del self-help. “… azioni intraprese dai non addetti ai lavori … per mobilizzare le risorse necessarie a promuovere, mantenere e ristabilire la salute dei singoli individui o delle comunità” dice l’OMS. Per i nostri gruppi basta sostituire la parola “salute” con “benessere della famiglia”. Basta iniziare a stare in gruppo, tuttavia, per comprendere l’estrema complessità di questo mezzo, sia esso un gruppo di pari, sia esso un gruppo che prevede l’apporto di esperti.
Come case study, esplorerò la struttura dei gruppi di mutuo aiuto di Genitori si diventa, associazione a carattere nazionale di cui sono stata vicepresidente prima e presidente poi sino al 2018, occupandomi particolarmente di monitorare il mutuo aiuto. Io stessa ho fatto parte, come utente prima e volontaria poi, di molti gruppi.
In Genitori si diventa, associazione interamente gestita da volontari, i gruppi sono per gli adulti (coppie pre-adottive e genitori adottivi), sono gratuiti per gli utenti e aperti ai non-soci; come in tante associazioni, il mutuo aiuto è presente sin dalla sua fondazione (1999).
I primi gruppi (Parliamone Pre), tutt’ora presenti, furono pensati per le coppie all’inizio dell’iter, ed avevano e hanno lo scopo di favorire momenti di confronto e di approfondimento. Sono la porta d’entrata dell’associazione, la stretta di mano dell’accoglienza. Per questo sono esclusivamente tra coppie e genitori volontari (ossia manca l’interlocuzione degli esperti). Sono pensati per coppie all’inizio dell’iter adottivo, periodo in cui si è a stretto contatto con vari operatori del settore (Tribunale e Servizi). Entrando in associazione hanno bisogno soprattutto di incontrare altre coppie e genitori, hanno bisogno di de-saturare dalla presenza dei tecnici e allo stesso tempo di “immaginarsi” future famiglie e quindi di “vedere” come realmente si è quando si hanno figli adottati.
Sono gruppi aperti, ossia le persone possono venire a più incontri (in genere lo fanno) o anche solo una volta sola. L’idea centrale è quella di tenere la porta aperta.
In modo più strutturato il mutuo aiuto venne avviato in Genitori si diventa nel 2006 dedicandolo, inizialmente, al post-adozione. I gruppi Parliamone Post sono stati subito intesi come spazi ove genitori potessero aiutare altre famiglie a partire dall’esperienza della propria vita ma, in questo caso, si ritenne importante l’apporto di operatori esperti. Attivando gruppi post, in tempi brevi emergono le criticità portate dalle famiglie, alcune importanti; i volontari sentirono ben presto che la sola condivisione di esperienze poteva non bastare, serviva una riflessione che andasse oltre l’io ho fatto così, serviva interrogarsi sul perché si stesse così. In sostanza era utile uno sguardo terzo (rispetto ai genitori e ai volontari), “altro” dall’associazione, che permettesse al gruppo di stare in un’area di pensiero non giudicante evitando, al tempo stesso, movimenti involutivi di chiusura, risonanze sulle problematiche.
Una mamma riassumeva brevemente le vicende del figlio arrivato in Italia all’età di 9 anni, mai scolarizzato ed inserito bruscamente in un contesto molto più competitivo del suo paese di origine, con aspettative scolastiche troppo elevate ... Lui, ha così iniziato la sua nuova vita con tanto affanno, in ritardo, con profonde frustrazioni. Dopo mille vicissitudini gli è stato riconosciuto un disturbo psichiatrico ed attualmente si trova in una comunità dove pare che le cose, lentamente, stiano migliorando anche se il percorso all’inizio è stato durissimo.
Da un gruppo
Nel tempo, dai primi gruppi di mutuo aiuto aperti, spesso “misti” tra coppie che avevano già adottato e coppie che stavano per adottare, si è passati ad un sistema articolato. Per esempio è stato necessario avviare un gruppo Parliamone nell’Attesa che venisse dopo la prima accoglienza, dedicato a chi aveva finito l’iter con Servizi e Tribunale. Si è sentita anche la necessità di organizzare i gruppi post in maniera più complessa e senza la presenza delle coppie pre-adottive. Oggi in associazione sono presenti: gruppi per famiglie neo-formate (indipendentemente dall’età di arrivo), gruppi per famiglie che hanno adottato da uno o due anni ma con figli nella prima infanzia, con figli entro la pre-adolescenza, con figli adolescenti, gruppi generici non divisi per età dei figli ed infine, gruppi per famiglie con figli giovani adulti che si riuniscono in autonomia e incontrano un operatore ogni tre/quattro mesi.
I gruppi Parliamone nell’Attesa e Parliamone Post sono soprattutto gruppi chiusi, ossia ci si iscrive per ognuno di loro e si prende un impegno di frequentazione. Certamente le variazioni sono possibili ma i gruppi sono centrati sulla stabilità. L’idea centrale è quella dello stare insieme.
Si tratta di gruppi facilitati da operatori affiancati da genitori volontari dell’associazione (al massimo 2 volontari). Ogni gruppo si incontra in genere da un minimo di 7 ad un massimo di 10 volte l’anno a cadenza mensile e può incontrarsi anche per più anni di seguito. Talvolta la durata del gruppo ha un limite (circa tre anni) ma si può anche, dopo aver terminato il proprio percorso con un gruppo, decidere di chiedere di iniziare in un altro gruppo (magari a distanza di tempo). Per questo motivo i volontari e gli operatori dei vari gruppi di uno stesso territorio sono in contatto tra loro.
La composizione di ogni gruppo si definisce entro i primi 2/3 incontri e resta stabile nel tempo. Le fluttuazioni possono accadere (per esempio nell’Attesa) e vengono accompagnate dai volontari in condivisione con gli operatori.
Sempre chi partecipa ai gruppi (soci o no) si avvale, se vuole, della rete relazionale associativa. Partecipare all’associazione non è mai un obbligo, e nemmeno diventare soci ma la rete è sempre attiva e disponibile. Con le sue modalità di contatto dirette ed immediate è il contenitore che permette alle persone di sviluppare relazioni, condividere informazioni ed esperienze, fare proposte, trovare risorse e sostegno. E’ una rete di prossimità, flessibile, stabile e plurale.
Gli operatori sono psicologi/psicoterapeuti con esperienza clinica con le famiglie adottive. Hanno approcci differenti (sistemico-relazionali, psicodinamici, gruppo-analisti, ecc.) e vengono scelti dai volontari del CD e locali in base alla loro esperienza con l’adozione e con la gruppalità. Con alcuni operatori si sono sviluppati rapporti di collaborazione duraturi, con tutti sono previsti incontri periodici di raccordo. Spesso partecipano alle parti culturali delle assemblee nazionali.
L’operatore crea il clima in cui si può determinare l’apertura dei componenti e accompagna lo sviluppo del lavoro del gruppo: facilita l’esprimersi dei partecipanti, offre alcune possibilità di lettura delle esperienze ma soprattutto promuove il riconoscimento reciproco, la possibilità di stare insieme e di condividere. Può aiutare il gruppo a immaginare ed esplicitare possibili significati.
I volontari rappresentano l’accoglienza associativa, si occupano dell’organizzazione ma soprattutto mettono a disposizione la propria esperienza e la propria storia. Nei gruppi dedicati all’attesa simbolizzano la realizzazione della genitorialità, nei gruppi dedicati al post vivono spesso fasi successive a quelle dei partecipanti. Il ruolo dei volontari è certamente complesso e sono pensati molti momenti per loro, per condividere esperienze e ricevere formazione.
I volontari sono la casa che tiene le sue porte aperte. Prendersi cura della casa è importante e per nulla facile.
Tra volontari e operatori è necessaria una reciproca accoglienza. È la fiducia tra loro che determina in buona parte il clima di apertura del gruppo stesso, che permette ai partecipanti di sentire che si può aver fiducia. E’ questo l’ambiente che permette ai partecipanti di trovare nelle parole dell’altro spunti utili alla propria personalissima esperienza. Permette di aprirsi alla possibilità dell’aiuto, di potersi dire, se necessario, “ho bisogno di aiuto”.
I temi che emergono nei gruppi Post sono temi ricorrenti: il pensiero sulle origini dei figli, i rapporti con le famiglie di origine (se ci sono) e con le famiglie che hanno adottato fratelli dei figli, le dinamiche familiari, i rapporti con la scuola, i momenti di crisi e scontro. Nel gruppo Attesa si avverte la presenza dell’immaginario, del pensiero sui figli che potrebbero essere e non sono ancora, di quelli che avrebbero potuto essere e non sono stati. In tutti i gruppi i partecipanti portano sensazioni, riflessioni su sé stessi, sul proprio percorso personale, sui rapporti con il “fuori” (insegnanti, servizi, Tribunale, enti autorizzati, parenti, ecc.). La riflessione sui vari temi può essere agevolata dai Parliamone Con, incontri puntuali (seminariali ma sempre interattivi) in cui vengono invitati relatori differenti per approfondire di volta in volta argomenti specifici.
Strumento importante del lavoro di gruppo è il reporting. I volontari dei gruppi (e/o a rotazione i partecipanti) stendono, per ogni incontro, un report che viene poi condiviso con l’operatore e quindi con i partecipanti. Si tratta di un fil rouge che connette un incontro all’altro, un diario di bordo collettivo e co-costruito a rappresentare la memoria dell’intero gruppo. In associazione tali report sono protetti e possono accedervi solo i diretti interessati e le persone preposte a occuparsi del monitoraggio locale e nazionale. I partecipanti ai gruppi sanno che quanto accade nei gruppi è “roba loro” (e infatti quello che vedete scritto qui come riportato da un gruppo è stato tutto cambiato).
Nel tempo l’associazione si è dotata di documenti scritti a descrivere flessibilmente l’attività. Il fine era certamente quello di creare una cornice che permettesse di attivare gruppi in territori differenti senza perdere in coerenza, ma questa azione descrittiva ha anche permesso di mantenere una riflessione continuativa sui gruppi, il dialogo con gli operatori e di poter formare i volontari che si avvicendavano. Questi documenti hanno anche permesso di fare attenzione alle possibili “zone di confusione”. Ad esempio, gli operatori coinvolti possono esser stati Giudici Onorari, aver lavorato negli Enti autorizzati e nei Servizi, ma non debbono più essere in tale condizione lavorativa nel momento in cui seguono un gruppo. Qui di seguito potete leggere le nostre CARTE.
Negli anni i gruppi di mutuo aiuto sono andati sempre aumentando e nemmeno la pandemia ha rallentato il loro crescere. Nel 2020, a fronte dell’emergenza causata dalla pandemia, i gruppi si sono spostati, dopo una breve stasi, in modalità online creando una differente esperienza per partecipanti, volontari e operatori, una esperienza che avrà bisogno di venire analizzata a lungo. Non può essere sottovaluto infatti cosa significhi l’essere costretti a vedersi online, in una griglia di piccoli ritratti, costretti alla sola visione e al solo ascolto, interrotti dalle difficoltà tecniche. Non si può nemmeno sottovalutare che sebbene si sia sempre nel cerchio simbolico del gruppo, si è di, fatto, ognuno a casa propria, in un ambiente che si finisce per esporre e che finisce per essere intruso dagli altri. L’essere nelle proprie case ha un particolare impatto sui gruppi Post, basti pensare alla presenza dei figli nella stanza accanto.
Nel 2021 Genitori si diventa ha avuto 13 gruppi di mutuo aiuto Pre, 8 gruppi Attesa e ben 36 gruppi di Post: 57 gruppi di mutuo aiuto in tutta Italia. Hanno partecipato, nel 2021, circa 200 persone per i gruppi Attesa e circa 1000 per i Post. Sono stati coinvolti circa 100 volontari e circa 30 operatori.
Voglio chiudere questa survey con un ultimo breve estratto da un gruppo.
Questa notte ho sognato una donna con un sari verde. Eravamo collegate via Skype ed io le parlavo di Swati e dei problemi che aveva avuto. Non vedevo il suo volto ma vedevo le sue mani, in grembo. Lei mi ascoltava e la traduttrice le parlava. So che mi ascoltava. Per Swati.
Da un gruppo
Note:
1 «Il tribunale per i minorenni vigila sul buon andamento dell'affidamento preadottivo avvalendosi anche del giudice tutelare e dei servizi locali sociali e consultoriali. In caso di accertate difficoltà, convoca, anche separatamente, gli affidatari e il minore, alla presenza, se del caso, di uno psicologo, al fine di valutare le cause all'origine delle difficoltà. Ove necessario, dispone interventi di sostegno psicologico e sociale.»
2 «Dal momento dell'ingresso in Italia e per almeno un anno, ai fini di una corretta integrazione familiare e sociale, i servizi socio-assistenziali degli enti locali e gli enti autorizzati, su richiesta degli interessati, assistono gli affidatari, i genitori adottivi e il minore. Essi in ogni caso riferiscono al tribunale per i minorenni sull'andamento dell'inserimento, segnalando le eventuali difficoltà per gli opportuni interventi.»
3 Nell’art. 39 la Commissione Adozioni Internazionali è chiamata a promuovere la cooperazione tra chi si occupa di adozione e a fare formazione in merito, nell’art. 39-bis la legge chiama in causa le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano affinché realizzino la rete di servizi necessaria.
La nostra associazione organizza attività dedicate alla famiglia adottiva e a chi intende avvicinarsi al mondo dell'adozione. Organizziamo conferenze e incontri dedicati ai temi a noi cari e molte attività dedicate ai soci.
Se lo desideri puoi diventare socio iscrivendoti presso le nostre sedi territoriali: cerca qui la nostra sede più vicina a te.
Puoi vedere tutti i nostri eventi in programma (anche eventi online) seguendo questo link.