Autore: 
Heidi Barbara Heilegger, avvocata

Negli ultimi anni un crescente numero di coppie di aspiranti genitori adottivi ha iniziato a guardare all'adozione nazionale come alla via più probabile, se non l'unica, per poter adottare.

Per questa ragione può essere utile condividere alcune considerazioni non tanto riferite ai requisiti richiesti e al percorso da intraprendere per chi si proponga di diventare genitore tramite adozione nazionale, rispetto ai quali le coppie possono informarsi facilmente su internet (1) o direttamente presso la cancelleria adozioni del Tribunale per i Minorenni del luogo di residenza, quanto, invece, alle prassi dei diversi Tribunali e a come negli ultimi anni è cambiata la concezione dell'adozione.

Occorre in primo luogo premettere che catalogare e riassumere le prassi dei vari Tribunali per i Minorenni è un compito non solo arduo, ma probabilmente anche di limitata utilità.

Le prassi, infatti, per definizione, non sono codificate e sono soggette a variazioni, talvolta  legate a motivazioni contingenti e imprevedibili, come ad esempio la nomina di un nuovo Presidente.

Può, invece, essere più importante capire come l'approccio dei Tribunali per i Minorenni sia cambiato quale conseguenza di una differente sensibilità maturata nel corso degli anni.

Non si tratta tanto di un cambiamento legato a riforme legislative -  la legge che disciplina l'adozione è tutt'ora la legge n. 184/1983 come modificata dalla legge n. 149/2001 e da allora l'unica, significativa novità in materia legislativa è stata l'introduzione della legge n. 173/2015 sulla continuità degli affetti (2)  - ma di carattere culturale.

Innanzitutto è tramontata l'idea dell'adozione come “seconda nascita”.

É un dato ormai acquisito il fatto che il desiderio di molte persone con una storia di adozione alle spalle di entrare in contatto con i loro genitori biologici, di conoscere le ragioni dell'abbandono o comunque di avere delle informazioni relative alle proprie origini, non può essere declinato come semplice curiosità, ma ha attinenza con la costruzione dell'identità.

Il legislatore del 1983 non avrebbe ritenuto meritevole di accoglimento l'istanza di una persona che è stata adottata finalizzata a conoscere o anche solo ad avere informazioni sulla propria famiglia di origine nella convinzione che la migliore tutela per la persona che è stata adottata e la famiglia adottiva implicasse, sempre e comunque, la totale cesura del legame con i genitori biologici. 

A tal proposito è significativo che solo con la riforma del 2001 sia stato imposto ai genitori adottivi di informare il figlio di essere divenuto tale tramite adozione.

La giurisprudenza attuale ha, invece, compreso la necessità di trovare un ragionevole bilanciamento tra due diritti che hanno pari dignità: quello alla riservatezza della madre biologica da un lato e quello della persona con una storia di adozione di conoscere le proprie origini dall'altro. E' nota in particolare la sentenza n. 1946/17 con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno sancito come il giudice, in caso di parto anonimo, non possa negare al figlio l’accesso alle informazioni sulle sue origini, senza avere precedentemente verificato, con le modalità più discrete possibili, la volontà della madre biologica di mantenere l’anonimato.

D'altra parte non è raro che le pronunce dei Tribunali, non solo in materia di adozione, anticipino i cambiamenti legislativi e, anzi, colmino le lacune del diritto là dove quest'ultimo si dimostri carente nel cogliere l'affermazione di nuove istanze sociali.

Il legislatore del 1983, inoltre, aveva pensato affidamento familiare e adozione come due strumenti di tutela dell'infanzia alternativi e anzi antitetici: là dove nell'affido coabitano in via temporanea due famiglie, quella affidataria e quella di origine, nell'adozione la famiglia adottiva si sostituisce definitivamente a quella di origine.

Si tratta di una impostazione rigidamente binaria che non tiene conto di come la realtà possa essere più fluida e complessa.

Il fenomeno degli affidamenti sine die, cioè a tempo indeterminato, dove l'obiettivo del reingresso in famiglia di bambini e bambine viene di fatto abdicato, e che sono tutt'altro che un fenomeno marginale coprendo la maggior parte degli affidi, testimonia come la dicotomia tra le due misure, l'una, l'affidamento, ipotizzata come necessariamente transitoria, l'altra, l'adozione, concepita all'opposto come definitiva e di “rottura” rispetto al passato, non trovi sempre ancoraggio nella realtà.

Esistono, per così dire, delle zone di confine, dove la netta contrapposizione tra affidamento e adozione sfuma, ma  ciò è stato colto solo in parte dal legislatore con la legge sulla continuità degli affetti nel 2015.

É dunque in questo quadro, mutato, ma non adeguatamente normato, che è maturata la propensione dei Tribunali per i Minorenni (3) nel sondare, in sede di colloquio con le coppie di aspiranti genitori, la loro disponibilità ad aprirsi ad un progetto di adozione aperta (4) in cui, ferma l'interruzione dei rapporti giuridici con la famiglia di origine, come impone la lettera della legge, viene mantenuto un canale comunicativo aperto con la famiglia biologica, e pertanto con i genitori, o uno solo di essi, o ancora un parente (ad esempio una nonna o uno zio).

Rinviando per un approfondimento dell'adozione aperta agli articoli che ospita il magazine di Genitori si diventa sul tema (5), in questa sede sarà sufficiente accennare al fatto che nel nostro ordinamento questa modalità di adozione non è espressamente contemplata né normata, ma allo stesso tempo non è neppure vietata.

D'altra parte l'istituto dell'adozione in casi particolari di cui all'art. 44 della legge n. 184/83 insegna come, se pure nei casi tassativi ivi indicati, l'adozione, per il bene del minore, possa realizzarsi anche al di fuori dei presupposti richiesti per l'adozione legittimante (cioè quella che comunemente le coppie intendono per adozione).

Da diversi anni il nostro ordinamento conosce l'esistenza di situazioni di “semiabbandono permanente”, quelle appunto a monte dei numerosi affidamenti sine die, in cui la famiglia è carente rispetto ai bisogni del minore, ma al contempo mantiene un ruolo positivo che non è opportuno che venga rimosso totalmente. Si pensi, a mero titolo di esempio, a una madre con importanti problemi psichici, senza una rete familiare che la supporti, che abbia a cuore il proprio figlio, ma non sia in grado di occuparsene. Ebbene, in ipotesi come questa, non vi è alcuna ragionevole possibilità di prevedere un miglioramento delle capacità del genitore biologico o più in generale della famiglia di origine tale da renderla idonea a svolgere il suo compito affettivo ed educativo in modo sufficientemente adeguato anche se con il supporto dei Servizi Sociali. In questi casi, non potendo essere pronunciata, in difetto di una situazione di effettivo e totale abbandono morale e materiale del minore, la dichiarazione di adottabilità, alcuni Tribunale hanno comunque disposto l’adozione ma ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d) l. 4 maggio 1983, n. 184, qualificandola come adozione mite (6).

Pertanto, quando quest'estate, con riferimento a una decisione della Corte d'Appello di Roma che aveva stabilito la necessità per due bambine di mantenere un canale comunicativo aperto con la madre di origine, si è parlato da parte dei mass media del primo caso di adozione mite in Italia, è stata fatta un'affermazione avventata e forviante (così su Ansa.it in data 08.06.2022).

É invece vero che la giurisprudenza, inizialmente molto cauta, si mostra ora maggiormente recettiva rispetto a ipotesi di adozione che non chiudono rispetto alla possibilità di una frequentazione con la famiglia di origine del minore. Oltretutto la giurisprudenza si è resa conto che per attribuire una veste giuridica, e quindi legittimare, questa forma di adozione  non è necessario scomodare l'art. 44, ma è sufficiente interpretare l'interruzione dei rapporti del minore con la famiglia di origine di cui all'art. 27 della legge sull'adozione come interruzione sul piano giuridico e non necessariamente di fatto: in questo modo si consente l'adozione legittimante, ma anche, potenzialmente, là dove ritenuto opportuno, il mantenimento di un canale comunicativo aperto con la famiglia di origine.
 

L'attualità del tema è confermata dal fatto che, di recente, il Coordinamento Care ha dedicato un convegno proprio ai territori di confine tra affido e adozione (7)

Il fatto che i Tribunali per i Minorenni, con crescente frequenza, chiedano alle coppie di considerare l'opzione dell'adozione aperta, non deve stupire dal momento che  quest'ultima offre ai bambini e alle bambine che sono stati dichiarati adottabili maggiori tutele rispetto a una situazione di affidamento sine die.

Infatti, trattandosi di un'adozione legittimante in cui viene “semplicemente” garantito un canale comunicativo con la famiglia di origine, nel ferreo rispetto delle modalità e dei tempi indicati dal Tribunale, il minore è, e resta, figlio dei genitori adottivi ad ogni effetto di legge.

Ne consegue, a mero titolo di esempio, che ne assumerà il cognome così come acquisirà i diritti ereditari.

Non si tratta dunque di un'adozione mite nel senso di un'adozione che offre minori tutele rispetto ad un'adozione legittimante, ma neppure di un'adozione aperta sulla falsariga della open adoption conosciuta negli Stati Uniti, come temono molte coppie, in quanto la frequentazione con la famiglia di origine (o con uno o più membri della suddetta), non è libera né rimessa alla discrezionalità dei genitori, ma possibile solo entro il perimetro disegnato dal Tribunale. Forse, almeno a parere di chi scrive, andrebbe davvero coniato un nuovo termine per evitare fraintendimenti rispetto a quella che, senza ombra di dubbio, è un'adozione legittimante se pure con un canale comunicativo aperto con la famiglia di origine.

Da questa premessa non è d'altra parte lecito dedurre che l'adozione aperta - o meglio utilizzando la lunga, ma più corretta perifrasi a cui si è fatto ricorso e cioè adozione che garantisce un canale comunicativo aperto con la famiglia di origine - abbia sostituito l'adozione legittimante com'è normalmente intesa (e quindi senza un canale comunicativo aperto).

Tutt'ora, infatti, vengono fatti abbinamenti con minori in cui la frequentazione con la famiglia biologica non è prevista. Così, ad esempio, accade per la maggior parte delle adozioni di minori abbandonati alla nascita.

L'opzione dell'adozione aperta sarà, inoltre, esclusa nei casi di abusi e maltrattamenti in cui mantenere la frequentazione del genitore, anche in uno spazio protetto, verrebbe percepito e vissuto dal minore come una riattivazione del trauma, rendendone più difficile l'elaborazione.

In un tentativo di sintesi, si potrebbe affermare che, così come sempre accade quando si tratta di minori, anche per l'adozione aperta capire quando sia risorsa e quando, invece, possa arrecare pregiudizio al minore non si può stabilire in astratto, ma va valutato nel caso concreto,  evitando prese di posizioni aprioristiche.

Certamente, rispetto al rischio giuridico (8), su cui la coppia è sempre chiamata ad interrogarsi durante il percorso con i Servizi Sociali, non è raro che il tema dell'adozione aperta sia invece solo sfiorato, verosimilmente per una minore conoscenza del tema da parte degli stessi operatori. Solo negli ultimi anni infatti questa forma di adozione da fenomeno marginale si è imposta come opzione da tenere effettivamente in considerazione quando si intraprende il percorso adottivo.

D'altra parte, anche per questa ragione, almeno a mio parere, qualora la coppia, in un'ipotesi di abbinamento con adozione aperta, si mostri cauta e ammetta di avere la necessità di raccogliere maggiori informazioni per capire se e in che misura possa dare disponibilità, ciò non sarà  penalizzante né, in caso di diniego, precluderà a eventuali, future convocazioni da parte del Tribunale (ovviamente con riferimento a minori per cui non vi sia la necessità di preservare in qualche modo il legame con la famiglia biologica).

Nell'articolato panorama delle adozioni nazionali l'adozione aperta non è peraltro l'unica ipotesi in cui viene mantenuto un contatto attuale e concreto con il passato di bambini e bambine.

Proprio perché il minore dichiarato adottabile non cessa in quanto tale di avere una storia pregressa, può accadere che, nell'ambito di una proposta di abbinamento, agli aspiranti genitori sia chiesta la disponibilità nel garantire la frequentazione del minore con i fratelli o le sorelle biologiche eventualmente adottati da un'altra famiglia.

La scelta di collocare i fratelli in uno stesso nucleo familiare oppure dividerli rientra a sua volta nell'ambito delle valutazioni che i Tribunali per i Minorenni devono compiere nell'interesse del minore, interesse come sempre da declinare nel concreto.

Ciò che è bene che le coppie di aspiranti genitori adottivi tengano a mente è il fatto che i genitori biologici saranno in qualche modo e misura sempre presenti nella famiglia adottiva: nei ricordi del figlio, se li ha conosciuti, o nel suo immaginario quando abbandonato alla nascita. Certamente nella maggior parte dei casi si tratterà solo di una presenza simbolica. Ma se da un lato è importante non minimizzare la maggiore complessità, sotto il profilo emotivo e psicologico, dell'adozione aperta, dall'altro è altrettanto utile ricordare che dal confronto con il genitore biologico -  anche se eventualmente in veste di “fantasma” -  per i genitori adottivi è impossibile prescindere.

Prima ancora di identificare quanti e quali Tribunali propongano abbinamenti di adozione aperta o con quale frequenza, sarà quindi determinante capire che cosa il paventare questa eventualità faccia risuonare dentro alla coppia, se a preoccupare sia il confronto con il genitore biologico in sé oppure la fatica di riuscire ad aiutare il proprio figlio o la propria figlia a gestire la complessità emotiva che la frequentazione con un genitore biologico può comportare.

Più che l'accettazione o il rifiuto dell'adozione aperta in sé, a rilevare agli occhi del Tribunale sarà la motivazione portata dalla coppia, se ragionata e frutto di consapevolezza delle proprie risorse e dei propri limiti, o invece riflesso di una reazione emotiva, non mediata.

Ulteriormente, in questo breve esame di come sta cambiando il volto dell'adozione nazionale, gioverà ricordare che per quest'ultima il percorso non si chiude con l'emissione di un decreto di idoneità o non idoneità all'adozione come avviene invece per le coppie che abbiano dato disponibilità (anche o solo) per l'adozione internazionale.

Semplicemente, dopo l'invio al Tribunale per i Minorenni della relazione psico-sociale da parte dei Servizi Sociali, le coppie di aspiranti genitori potranno essere convocate per un colloquio.

Naturalmente una relazione con molte ombre e criticità renderà la convocazione improbabile; al contempo non è detto che una buona relazione si traduca in un colloquio e quest'ultimo in una proposta di abbinamento.

Alcuni Tribunali convocano le coppie anche solo per un colloquio conoscitivo, quando è imminente la scadenza della dichiarazione di disponibilità all'adozione - che, come noto, dura tre anni e può essere rinnovata - altri, invece, al di là di come il colloquio viene formalmente presentato, convocano le coppie solo quando c'è effettivamente un minore da abbinare.

Tuttavia né una buona relazione né l'esito positivo del colloquio implica automaticamente una proposta di abbinamento.

Il Tribunale per i Minorenni deve, infatti, individuare non una coppia con delle buone risorse, ma la migliore possibile per un determinato bambino o bambina.

La storia personale della coppia, la disponibilità data in ordine a età o patologie, l'accettazione del rischio giuridico, la disponibilità rispetto all'adozione aperta e innumerevoli altri elementi che è impossibile sintetizzare possono indurre a preferire una coppia rispetto ad un'altra.

Ma nulla esclude che la coppia “scartata” possa in futuro rappresentare una risorsa per un altro minore, con  un'altra storia e differenti esigenze.

Ad ogni buon conto, nonostante l'immagine spesso distorta della realtà fornita dai media, non si deve dimenticare il fatto che la maggior parte dei bambini e delle bambine allontanati dalla famiglia non è adottabile e che il numero di coppie che vogliono adottare supera di gran lunga quello dei minori adottabili.

Anche se non è semplice, ciò che più conta è che la coppia mantenga il focus sul minore e non viva un mancato abbinamento in chiave punitiva.

Altrimenti il rischio è duplice: che si demotivi e abbandoni il percorso o, all'opposto, che sia indotta a fornire un'immagine falsata delle proprie disponibilità per rendersi più “appetibile”. Ciò infatti potrebbe essere predittivo di un'adozione in cui le criticità celate metteranno nel tempo a dura prova la stabilità familiare.

Piuttosto, al fine di ampliare la possibilità di realizzare un'adozione nazionale, si può considerare di estendere la disponibilità all'adozione nazionale anche a Tribunali per i Minorenni diversi da quello  di residenza. Infatti, per alcuni minori, ci può essere proprio l'esigenza di collocarli presso una famiglia che non si trovi nella stessa zona o regione di provenienza della famiglia biologica.

Per sincerarsi di quali siano i documenti necessari per estendere la disponibilità, oltre alla relazione psico-sociale, sarà opportuno contattare preventivamente la cancelleria adozioni dei singoli Tribunali, proprio perché, anche in questo caso, le richieste possono differire.

In linea generale credo che per gli aspiranti genitori adottivi più che cercare di conoscere nel dettaglio le modalità operative dei diversi Tribunali, sia utile investire il tempo dell'attesa per allargare la propria consapevolezza rispetto ai nuovi, possibili scenari legati all'adozione nazionale.

Ciò non solo consentirà di affrontare con maggiore tranquillità e fiducia in sé un colloquio per un possibile abbinamento, ma soprattutto la futura sfida della genitorialità.

 

  1. Segnalo il ciclo di video “Adozione, pronti via” che ho realizzato per il canale Youtube di Genitori si diventa
  2. La legge n. 173/2015 introduce una corsia preferenziale per le adozioni da parte delle famiglie affidatarie di minori in affidamento che vengano dichiarati adottabili
  3. Ad esempio, tra gli altri, per quanto noto alla scrivente, i Tribunali per i Minorenni di Milano, Brescia e Roma
  4. L'espressione adozione aperta indica una forma di adozione non sovrapponibile alla open adoption conosciuta negli Stati Uniti ove,  in alcuni Stati, le adozioni tramite intermediari privati non sono vietate: può così accadere che i genitori biologici diano delle indicazioni o addirittura scelgano essi stessi la famiglia adottiva per il figlio o la figlia, concordando anche le future modalità di incontro.
  5. L'adozione aperta: una nuova frontiera nel mondo adottivo” e “Adozione mite: cosa dice la Cassazione”
  6. Il riferimento è in primis alla pronuncia del Tribunale per i Minorenni di Palermo, 07.05.2008, Presidente e Relatore Occhiogrosso
  7. Qui puoi guardare il video del Convegno: https://www.youtube.com/watch?v=AiESiDIAbtg
  8. Per rischio giuridico si intende la possibilità che il minore rientri nella famiglia di origine (con ciò intendendosi i parenti sino al 4° grado) durante il periodo di collocamento provvisorio, cioè quando sia già stato inserito nella famiglia adottiva, ma in attesa del decreto di affidamento preadottivo. Qualora sia presente una situazione di rischio giuridico non potrà ovviamente perfezionarsi l'adozione fino alla cessazione del predetto rischio. Si segnala, per completezza, la prassi di alcuni Tribunali per i Minorenni di collocare i minori presso una famiglia, già ritenuta idonea ad adottare, quando il minore ancora non è stato dichiarato adottabile ed in vista di una futura, possibile adozione. Da un punto di vista giuridico si tratta di un affido ed anche in questo caso, ed anzi a maggior ragione, vi è chiaramente la possibilità che il bambino ritorni in seno alla famiglia di origine.

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Data di pubblicazione: 
Venerdì, Dicembre 30, 2022

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