Autore: 
Erika Delvento, psicologa - psicoterapeuta

Le domande dei bambini sono fiamme

Per accendere le menti dei più grandi

Sono fuoco sempre ardente per le mamme

Se non hai una risposta ti domandi

Le domande dei bambini fanno luce

Mentre rendono la mente più tenace

Le domande dei bambini fanno chiaro

Perchè vogliono sapere sempre il vero

Le domande dei bambini fanno grandi

Se non hai una risposta ti domandi

(Sabrina Giarratana, Poesie di luce, Giunti editore)

A me questa cosa delle mamme di pancia e delle mamme di cuore non mi ha mai convinta del tutto.

Quella di attribuire un organo ciascuno la trovo di una equità apprezzabile, non lo nascondo, ma la sento insoddisfacente, di fatto un pò povera sebbene di pronto e immediato consumo. Sono certa abbia risolto e risolva tuttora una serie di empasse mica da ridere. Anche se di leggerezza talvolta ce ne sarebbe davvero bisogno. Lo stesso titolo dell'ultimo libro di Luciana Littizzetto, che non ho ancora nè letto nè avuto tra le mani, mi sembra faccia eco a questa distinzione: "Io mi fido di te. Storia dei miei figli nati dal cuore".

Da dove vengo? Dove sono nato?

Forse più di uno si è trovato di fronte a domande di questo tipo, spiazzanti sebbene attese grazie ai numerosi gruppi e corsi e incontri e letture fatte. Qual'è la mia appartenenza? A chi appartengo? Ma anche dove posso costruirla?  E certo il cuore è di fatto un bel posto, collocato nella "casa toracica" per dirla come Cristina Bellemo. E già si sente il calore di focolare e sapore di famiglia. Ma forse è un ambiente un pò ristretto per crescere, così come ristretto lo è la pancia. Lo sa bene chi ha fatto esperienza di una gravidanza e tutti noi che dopo nove mesi circa, chi più chi meno, abbiamo fatto pressione per uscirne.

È che mi colpisce che come se di due non ce ne fosse una intera. Anche se sì, per far nascere quella storia ci vogliono almeno entrambe ed entrambi i papà solitamente bistrattati da questa enunciazione.

Penso ai giochi di nascita dei bambini, a quelli che si vogliono mettere sotto vestiti o coperte a simulare placente e venute alla luce, restituendo anche a quella coppia, proteggendola, un senso di generatività e integrando per sè quel doppio. D'altronde veramente abbiamo costruito la nostra genitorialità solo con il cuore? Non ci abbiamo messo farfalle nello stomaco o intestino in subbuglio, groppi in gola, lacrime negli occhi e sulle guance, mani per sfiorare, toccare, stringere e graffiare, bocche per parlare, cantare ninne nanne e urlare, piedi per correre, camminare in punta di piedi e inciampare, braccia sulle quali fare leva per rialzarsi e dare pacche sulle spalle, meglio se belle larghe?

Perché ecco, credo che il cuore sia sì un bel posto, ritmico finchè volete e prossimo alla pancia, ma che serva tutto il corpo per far nascere genitori e figli e nonni e zii, che serva tutto il corpo fisico e familiare. Che diciamolo, sono cose che ci hanno messo pure le mamme di pancia, volenti o nolenti. Vedo improbabile che donne che hanno portato in grembo per così tanto tempo una vita, non abbiano sentito neanche un batticuore dedicato a lei.

Ma allora? Si chiederanno alcuni. Non è proprio così, ribatteranno gli amanti di anatomia.

No, non mi è sfuggito che ci sono parti del corpo che in un caso entrano in gioco in maniera specifica e in un altro caso no. È solo che sebbene mi renda conto della densità di quell'incontro e della significatività di quegli apparati in termini di ferite e possibilità, credo semplicemente che non siano essi stessi i luoghi principi dove nè noi, nè i nostri figli potremo costruire un'appartenenza. Quello sarà il luogo della nostra diversità, della discontinuità, di ciò che li renderà probabilmente più simili all'originario, loro e nostro. Quello è il luogo della diversità tra noi e i nostri parenti e forse molti amici. Quello è forse il luogo che offre una opportunità, anche se talvolta diventa semplice avversità, per stringere un noi di fronte a un voi e a un loro. E il tempo della diversità può essere tanto più accolto, maneggiato e calzato quanto più ci si è sentiti vicini e stretti e caldi, sicuri di sè e degli altri.

Forse, semplicemente i luoghi dell'appartenenza sono molteplici, così come quelli della estraneità, tra i quali non dimenticherei quello del desiderio, per me il più significativo, che spero sia quanto più possibile abitato almeno nell'aldiquà.

Da dove vengo? Da un desiderio. E dalla forza.

Dalla forza di venire alla luce e mantenerla accesa che molti bambini hanno per riuscire a giungere fino a noi: Non mi arrendo, ripete più volte Mathias.

Mi chiedo se probabilmente più che di pancia in senso lato e di cuore, questa non sia una questione di ombelico in senso stretto. Maceria di un cordone, che segna un nodo rinnovato della nostra rete, ricordo di un legame che si fa così presente soprattutto nell'assenza. Come fantasma che si aggira, fa paura a chi lo avverte, ma non trova il tempo, il modo e forse la compagnia giusta per fermarsi ad osservarlo, ad ascoltare e sentire cosa ha da dire e cosa implora. Da sussurro a sibilo, fino ad urlo che può infestare le nostre case tanto più lo evitiamo e non troviamo per lui il posto giusto alle nostre tavole. Anche durante le feste. E, chissà, forse il modo con il quale rivolgervisi ce lo suggerirà lui.

Buon ascolto e buon 2022!

 


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Data di pubblicazione: 
Mercoledì, Gennaio 5, 2022

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